SULLA FINE DI WILMA NON CUSTODISCO SEGRETI
Articolo di Wanda Montesi da “Oggi” n. 39 del 30
settembre 1954
Queste sono le dichiarazioni che, dopo prolungate
insistenze, siamo riusciti a ottenere da Wanda Montesi, la sorella maggiore di
Wilma. I vicini di casa chiamavano Wilma e Wanda “le sorelle siamesi” per la
loro abitudine di apparire sempre in coppia. Le due sorelle dormivano nella
medesima stanza ed avevano tra loro una grande confidenza.
Se dovessi giudicare dalle lettere anonime che ci vengono
inviate, dalle telefonate minatorie che noi riceviamo, dovrei concludere che
molti non riescono più a seguire le disgraziate vicende della mia famiglia con
occhi sereni e con sentimenti umani. Con dolore, con meraviglia e con spavento
ho visto crescere intorno a noi, mese per mese, il sospetto e la diffidenza.
Ogni nostro silenzio, come ogni nostra parola, sono stati interpretati da molti
come un indizio dei segreti che dopo un anno e mezzo di tormenti terremmo
ancora celati nel seno della nostra famiglia. E di questi segreti, secondo
alcuni, io sarei la principale depositaria.
Mia sorella non c’è più, e nessuno, né i giudici, né gli
avvocati, né i giornalisti, potrà restituircela. Ma io sento ora la necessità
di contribuire a difendere il buon nome della mia famiglia dicendo, con grande
fermezza, che nella nostra casa non esistono segreti. Io stessa non ho alcun
segreto. Non custodisco alcun indizio sulla fine di Wilma che non abbia già
espresso la giustizia. Poiché sono i giornali che formano l’opinione pubblica,
quella opinione pubblica che ci costringe a vivere chiusi in casa, desidero
ripetere con chiarezza ciò di cui sono a conoscenza.
Si dice che Wilma, il 9 aprile 1953, sia uscita di casa
per recarsi a un appuntamento; altri aggiungono che ella aveva meditato di
fuggire con un suo ipotetico compagno. Spiego perché non ho mai potuto credere
a queste supposizioni. Sono sempre stata convinta che la meta di Wilma fu
Ostia, e che vi si recò da sola. Ella aveva veramente l’intenzione di alleviare
con l’acqua marina il fastidio che le procurava un calcagno irritato. A questo
punto debbo dar rilievo a un particolare: anch’io fui e sono affetta dal
medesimo disturbo. Sulle mie caviglie, più precisamente sul calcagno, si
formavano e si formano durante l’inverno, dei geloni. Spesso, con l’addolcirsi
della stagione, quei geloni si trasformano in un alone bruno punteggiato di
rosso. Ad un certo punto della prima istruttoria un perito esaminò il mio
disturbo, e lo trascrisse in un referto che si trova agli atti. Io credo si
tratti di un difetto costituzionale, identico a quello di cui soffriva mia
sorella.
Le scarpe nuove, acquistate una decina di giorni prima
della sua scomparsa, resero fastidioso per mia sorella quell’inconveniente; per
tentare di guarirlo dapprima Wilma cosparse il calcagno con tintura di jodio,
ma ottenne un effetto peggiore, perché lo jodio aumentò l’irritazione. Di
quella bruttura e di quel fastidio Wilma si lamentava; mio padre le suggerì
allora di massaggiare la macchia di tintura con dell’alcool puro. Mia madre,
per tranquillizzarla, aggiunse che con un po’ d’acqua marina tutto sarebbe
passato. Era imminente la buona stazione, non sarebbe mancata l’occasione di
fare tutti insieme una gita al mare, e quando fosse giunto il momento di
togliersi le calze Wilma non sarebbe stata costretta a portarle ancora per
nascondere il suo calcagno. Era questa, soprattutto, la preoccupazione di mia
sorella.
Il lunedì di Pasqua è per i romani, per tradizione, la
prima giornata di primavera dedicata alle gite; pensammo dunque di andare al
mare ma poi vi rinunciammo, preoccupati di trovare il treno troppo affollato.
Wilma condivise la nostra preoccupazione, venne volentieri al circo Togni, ma
non abbandonò l’idea di andare a Ostia, infatti qualche giorno dopo, il giovedì
9 aprile verso mezzogiorno mi chiese di accompagnarla: non attribuii importanza
al suo desiderio e dissi che non sarei andata: avremmo avuto qualche altra
occasione, di lì a poco, di andare al mare. Wilma tacque e il discorso finì lì,
mentre cominciava la nostra tragedia.
Quando proposi di andare al cinema lei rispose: “Non ci
vengo. È un genere di film che non mi piace”. Verso le quattro e mezza, quando
uscii con mia madre per andare al cinema, Wilma canticchiava ravviandosi i
capelli. C’era la radio accesa; quella fu l’ultima immagine che ebbi di mia
sorella.
Wilma, secondo la mia convinzione, non era diretta ad
alcun appuntamento, né aveva alcuna intenzione di fuggire. Molte deduzioni
affrettate furono tratte dal particolare della foto del fidanzato lasciata a
casa. Nessuno, infatti, ci diede il tempo di spiegare che Wilma custodiva
quella foto in un astuccio di pelle, una specie di borsellino, che non portava
quasi mai con sé nella borsetta. Wilma, secondo la mia convinzione, lasciò
tutti gli oggetti d’oro che di solito indossava, cioè il bracciale, gli
orecchini e il collier, perché temeva di perderli o di deteriorarli. Mise
invece nella borsetta un orologino da polso con l’allacciatura in metallo
spezzata a metà. Lo tenevamo sopra la radio per seguire i programmi musicali di
cui eravamo assidue, e ne notammo la scomparsa qualche giorno dopo il 9 aprile.
Wilma, dunque, lasciò a casa gli oggetti di valore ma
prese l’orologino, evidentemente per regolarsi sull’ora del rientro. Sparì
anche una coppia di chiavi della porta di casa, e più tardi mio padre cambiò il
meccanismo della serratura per timore che quelle chiavi fossero state trovate
da un malintenzionato; sparirono, infine, quattrocento o cinquecento lire dalle
tasche della giacca di mio padre, e lui se ne accorse perché uscendo e non
trovando in tasca quegli spiccioli fu costretto a cambiare mille lire in un bar
di piazza Verbano.
Io sono convinta che Wilma adoperò quegli spiccioli per
pagarsi il breve viaggio ad Ostia. Rosetta Passarelli non solo fornì una
descrizione così precisa che ogni nostro dubbio sull’identità della ragazza
scomparve, ma notò anche che Wilma era serena e sorridente. Conoscevo bene mia
sorella ed interpreto quel suo gesto così. Ella era semplicemente soddisfatta
di aver messo in atto il suo progetto. Infatti, Wilma, prima di allora non
aveva compiuto nessun viaggio, sia pure breve, da sola. Vedo ciò che sarebbe
stato se il destino non fosse stato crudele con lei: sarebbe tornata a casa,
avrebbe mostrato trionfante il suo biglietto, per poter dire: “Sono stata a
Ostia da sola”.
Mia sorella era una ragazza tranquilla e saggia, più
tranquilla di me. Fra me e lei c’era un affetto profondo e una grande
comunicativa. Tutto il nostro mondo era costituito dalla nostra famiglia, ciò
che ne era fuori non destava il nostro interesse. Non aveva grandi ambizioni e
per la strada era inavvicinabile. Se, passeggiando, qualcuno ci seguiva
mormorando delle parole al nostro indirizzo, delle due era lei quella capace di
rimbeccare l’importuno, togliendogli ogni coraggio.
Per quanto non fosse entusiasta di lui, Wilma si comportò
verso Angelo Giuliani con grande affetto e con perfetta fedeltà. Giuliani non
pronunciò mai la frase: “Se parlassi io chi sa che nomi salterebbero fuori”.
Per lui, come per noi, quei nomi non esistevano. Molte, troppe volte sono sorte
voci e si sono presentati testimoni che la pubblica opinione ha finito per
ascoltare. Per esempio, la ragazza marchigiana di cui in questi giorni sono
state riferite alcune affermazioni non fu la nostra cameriera. Noi non avevamo
cameriere. Essa salì a casa nostro una decina di volte, un giorno sì e uno no,
per una o due ore alla volta, per lavare panni pesanti oppure i piatti. Mia
madre le pagava 130 lire per ogni ora di lavoro e badava che le sue prestazioni
non subissero interruzioni. Quella ragazza non poté materialmente raccogliere telefonate
ed udire, come dire, voci maschili che chiedevano di Wilma, perché l’uso del
telefono non le competeva. Essa era un’estranea, e come tale non poté mai
essere chiamata, da me o da mia sorella, ad allacciare un indumento come il
bustino reggicalze.
Io sono tuttora convinta che mia sorella uscì per una
gita innocente. Si pettinò, si vestì, uscì con aria allegra, salì su un
autobus, inebriata dalla decisione presa di compiere un piccolo atto
d’indipendenza. Non posso pensare senza raccapriccio al terribile momento in
cui quel sorriso scomparve. Se fu qualcuno a smorzarlo, secondo la mia
convinzione, dovette trattarsi di un pazzo o di un bruto, favorito da qualche
inimmaginabile combinazione, verificatasi all’improvviso. Se qualcuno fu, la
punizione, presto o tardi, lo raggiungerà.
Io non posso più udire la voce di Wilma, ma spero che
ella raccolga la mia preghiera. E la mia preghiera è che sia fatta luce su
questa tragedia che ha sconvolto la nostra esistenza.
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