giovedì 24 gennaio 2019

IL CASO MONTESI - IX


HO VISTO WILMA MONTESI LA SERA PRIMA DELLA SCOMPARSA


Articolo di Mariella Spissu (fidanzata di Giuseppe Montesi, zio di Wilma) da “Oggi” n. 41 del 14 ottobre 1954


Sono certa di interpretare lo stato d’animo di Giuseppe Montesi, il mio fidanzato, dicendo che egli è profondamente amareggiato ma non abbattuto e nemmeno preoccupato per le supposizioni che, chissà come, sono nate in questi ultimi giorni attorno alla sua persona. Secondo queste supposizioni egli sarebbe stato in qualche modo coinvolto nelle circostanze che portarono alla tragica fine della povera Wilma. Secondo certuni dovrei addirittura ritenere che fra il mio fidanzato e Wilma corresse qualcosa di più del normale rapporto d’affetto tra zio e nipote. Se la gente, intendo dire la gente che non conosce me e Pino Montesi, avesse potuto seguire mese per mese i nostri dodici anni di fidanzamento, troverebbe veramente fantastiche simili supposizioni.

Pino e io abbiamo la stessa età, ventinove anni. Nel 1942, quando avevo diciassette anni, ero impiegata come contatrice di carte valori presso l’Istituto Poligrafico dello Stato. C’era la guerra, era stata fatta la mobilitazione, e molti giovani erano stati assunti al posto degli anziani richiamati alle armi. Pino dipendeva dal ministero del tesoro ed era stato distaccato presso il Poligrafico, come controllore ispettivo. Svolgevamo le nostre mansioni nel medesimo ambiente e nacque subito fra noi viva simpatia. Pino mi ispirava fiducia perché era un ragazzo franco, aperto, cordiale.


Dopo la guerra cominciammo a frequentarci in famiglia. Pino abitava con i suoi genitori, due fratelli e una sorella tutti più anziani di lui, nella stessa casa dov’era nato, in via Alessandria. La casa, composta di alcune camere distribuite in due piani, era vicina all’Istituto dove lavoravo, ed anche per questa ragione presi l’abitudine di passare con i familiari di Pino delle lunghe ore. Dell’altro ramo della famiglia, quello cui apparteneva la povera Wilma, in casa si parlava ben poco; Pino stesso non aveva più avuto occasione di vedere la cognata e le nipoti da quando era un ragazzo di undici o dodici anni. A quell’epoca Wilma e Wanda erano ancora bambine.

Nel 1952, dopo dieci anni che conoscevo Pino, vidi per la prima volta Wilma. Le due famiglie si erano riaccostate un poco ad iniziativa della madre di lei. Un giorno Pino e io andammo con la “Topolino” a prendere la sorella di Pino al portone di via Tagliamento, dove abitava Rodolfo Montesi, ed ecco comparire Maria Montesi con le due figliole al braccio, una di qua e una di là. Mi ricordo che Wilma portava i capelli raccolti sulla nuca ed indossava un abito scuro. Ebbi l’impressione che non fosse una ragazza facile alle confidenze; dopo aver scambiato i convenevoli ci lasciammo. Il mio fidanzato, come ho detto, non vedeva le nipoti da moltissimi anni, e la verità è questa: che Pino vide Wilma altre due sole volte prima della tragica morte di lei nell’aprile ’53.

La seconda volta fu quando Pino accompagnò con la “Topolino” i suoi genitori a casa di Rodolfo, e restò a cena con loro. Fu una riunione del tutto familiare, che contribuì a sciogliere la vecchia incomprensione tra le due famiglie.

Per la terza e ultima volta Pino vide sua nipote la sera in cui Rodolfo e Maria Montesi si recarono in via Alessandria per presentare ai nonni il fidanzato di Wilma, Angelo Giuliani. Era una sera dell’inverno 1952, attorno a Natale. Le presentazioni furono un po’ impacciate, come avviene spesso in simili occasioni, ma Giuliani se la cavò con sufficiente disinvoltura. Wilma mi parve tranquilla e contenta; mi mostrò l’anello di fidanzamento che Giuliani le aveva regalato, parlammo un poco del corredo che lei stava preparando.

Pino, che come al solito era in giro con la vetturetta, sopraggiunse quando avevamo già finito di cenare, e quando Giuliani notò che era tardi e doveva rientrare nella sua sede a Marino, la madre di Wilma insistette perché si trattenesse ancora un poco, e pregò Pino di accompagnare Giuliani all’autostazione con la sua “Topolino”. Andammo in quattro: Pino e Giuliani seduti davanti, io e Wilma dietro. E quella fu l’ultima volta che il mio fidanzato vide sua nipote.

Io, invece, la vidi o meglio la intravidi proprio la sera prima della sua scomparsa, l’8 di aprile 1953. Da un paio d’anni ho lasciato l’impiego a causa di una malattia, e passo buona parte della giornata ad aiutare nelle faccende di casa la mamma di Pino. Quella sera stiravo delle camicie, udii la mamma di Pino parlare con qualcuno dalla finestra: erano Maria Montesi con Wilma e con Wanda. Non entrarono in casa: erano perfettamente tranquille e se ne andarono subito.

Il giorno dopo, 9 aprile, scoppiava la tragedia. Quel giorno Pino compì normalmente il suo lavoro, al mattino andò al ministero del tesoro e alle due tornò a casa per mangiare. Nel pomeriggio si recò presso una tipografia dove si occupava e si occupa tuttora di contabilità. Stette in giro per i soliti incarichi, come al solito. Rientrò per l’ora della cena, prendemmo un caffè, forse giocammo pure a carte secondo una nostra abitudine, poi Pino mi accompagnò con la vetturetta a casa mia. Rientrato sui tardi in via Alessandria e trovata la famiglia in allarme in seguito alla telefonata di Rodolfo, si recò a casa di lui e gli prestò tutto l’aiuto che un fratello deve a un fratello, secondo quanto già descritto tempo fa su questo settimanale.

È circolata la voce, per esempio, che egli avesse un pied-à-terre a Ostia. Dopo tanti anni di fidanzamento è impossibile che Pino mi abbia tenuto nascosto un particolare del genere, in ogni caso non era una spesa che Pino si potesse permettere: Pino è un semplice impiegato che cerca di migliorare la sua posizione economica lavorando nelle ore libere con l’intento di assicurare a noi stessi quella sistemazione alla quale aspiriamo da tanto tempo.

Pino disponeva di una “giardinetta” e qualcuno ha voluto trarre delle supposizioni da una presunta vendita “affrettata” di quella vettura. L’automobile era per Pino un mezzo indispensabile per svolgere la sua attività, era un piccolo capitale che egli badava a non lasciar deperire, studiando anzi il modo di valorizzarlo con uno scambio o con una vendita vantaggiosa. Pino infatti comperò dapprima una “Topolino” verde (quella con cui accompagnò Giuliani alla stazione), poi la cambiò con la “giardinetta” di cui si è tanto parlato. Infine non subito, ma alcuni mesi dopo la morte di Wilma, precisamente nell’ottobre del 1953, riuscì ad ottenere un altro modesto vantaggio vendendo la “giardinetta” in contanti e comperando una Topolino-vettura a rate.

Così pure è del tutto assurda la voce che il 9 aprile egli abbia ricevuto una telefonata da sua nipote o che sua nipote si sia mai recata con lui qualche volta. Si tratta di voci, le solite voci, che nascono non si sa come e che la gente, purtroppo, si affretta a far sue costruendosi delle convinzioni fuori di qualsiasi logica. Questo è veramente impressionante: basta una parola, una frase sibillina letta su un giornale, un gesto, un qualunque particolare male interpretato perché l’opinione pubblica si orienti in una direzione errata.

Il mio fidanzato è perfettamente tranquillo, ripeto, ma nei giorni in cui i fotografi rumoreggiavano attorno alla porta di casa e attraverso le finestre chiuse si udiva il brusio della folla, ebbe veramente timore: timore di reagire e di mettersi così in guai peggiori. Per fortuna Pino è riuscito a dominare la sua naturale impetuosità: siamo rimasti assediati per sette giorni, con le finestre chiuse, e nella forzata inazione abbiamo avuto modo di conoscerci ancora di più, se questo è possibile dopo dodici anni di fidanzamento. Ed abbiamo anche preso una decisione importante. Ci sposeremo entro l’anno, forse a maggio, se la buona stagione ci avrà portato come regalo la fine di questa tenebrosa e dolorosa vicenda.

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