martedì 23 ottobre 2018

I MARZIANI IN PASTICCERIA!





Egidio De Carlini è un piccolo uomo, di mezza età, dall'aria mite ed i capelli bianchi. Di professione "pasticciere tecnico" è però anche un appassionato cultore di radioestesia e metapsichica.

Durante la guerra, il giorno in cui la radio annunciò l'affondamento di una nave nemica da parte del comandante Enzo Grossi, il signor De Carlini volle rifare sulla carta geografica l'itinerario seguito dal sommergibile italiano nel suo viaggio di ritorno. Naturalmente ricorse al pendolino che gli serve per tutti i suoi esperimenti di radioestesia e quando in seguito conobbe l'avventuroso comandante lo sbalordì con la descrizione precisa del tragitto compiuto subito dopo il discusso affondamento (n.d.r.: infatti gli affondamenti ad opera del comandante Grossi dopo la guerra furono contestati e gli fu tolta la medaglia d'oro preventivamente assegnatagli).

Grossi rimase così impressionato ed entusiasta della precisione e della capacità di indovinare del pasticciere che gli propose di collaborare con la Marina italiana. A questo proposito vi fu uno scambio di lettere, ma tutto finì in una bolla di sapone.

De Carlini venne iniziato alle scienze più o meno occulte dalla madre, che si definiva "dotata di virtù paranormali". Imparò perciò sin da ragazzo, quasi per gioco, ad usare mezzi rudimentali come una chiave o un anello sospeso ad un capello. Il De Carlini si dichiara convinto che ogni oggetto, animato o no, possegga ciò che egli chiama gli UO, ossia energie divine (radiazioni) e si dichiara non meno convinto di poterle captare. E' sua opinione che tutte le cose siano impregnate di "forze" che sarebbero percepibili da tutti gli uomini, se questi non fossero resi opachi dall'insensibilità derivata dalla vita materiale.

Da lunghi anni il radioestesista cerca di affinare le sue facoltà ultrasensitive: non beve alcool, non fuma, non mangia carne, ed ogni giorno si concentra lungamente nella preghiera e nella meditazione. In questo modo crede di riuscire a mettersi in contatto con gli UO, i quali accettano di rispondere a tutte le sue domande. Egli afferma infatti di comunicare con le piante, i fiori, le pietre, anche con le stoffe. "E' incredibile", assicura con straordinario candore, "quante cose possano essere espresse per esempio da un pezzetto di seta viola, se si conosce il mezzo per farsele dire".

Egidio De Carlini si applica anche alle invenzioni ed ha escogitato numerosi strumenti per la "ricerca degli imponderabili". Tra l'altro ha creato una specie di sveglia che, lui afferma, è capace di segnalare gli sconvolgimenti tellurici con circa ventiquattro ore di anticipo.

La più grande consolazione del De Carlini è di essersi messo in comunicazione sin dall'agosto 1950 con i marziani, dei quali ha appreso il linguaggio. Secondo De Carlini (che ne parla con molta serietà), QUOT significa Sud, TRON Polo Nord, PON astri e POQN fontana. 

Egli riesce a comunicare con loro tenendo in mano, oltre l'inseparabile pendolino, alcuni pezzi d'oro e d'argento. In seguito a numerose conversazioni ha avuto indicazioni per comporre una specie di carta geografica di Marte e ricevuto anche tutte le notizie che riguardano il fisico ed il modo di vivere dei marziani. 

Essi assomigliano agli uomini, ma sono assai più piccoli perchè "vivono in un'atmosfera dalla pressione molto bassa", posseggono una testa grandemente sviluppata ed al posto del fegato hanno un organo più perfezionato. Si alimentano con cibi liquidi (prevalentemente succhi di frutta), non hanno bisogno di lavorare per vivere, viaggiano continuamente e non dormono mai. Ogni mattina rivolgono uno sguardo al cielo per ringraziare il Creatore ed offrono un omaggio floreale alle loro spose. Le nascite avvengono mediante "incontri di luce". Il pianeta è popolato di tre miliardi di esseri che rappresentano le anime di uomini vissuti sulla terra milioni di secoli fa.

I marziani considerano con molta benevolenza l'umanità e cercano di proteggerla in ogni modo, soprattutto tenendo lontano il pericolo di sconvolgimenti ciclonici causati dalle esplosioni atomiche. Cercano spesso di mettersi in contatto con gli abitanti della Terra ma questi, sebbene posseggano una buona intelligenza, in questo campo sono ancora ottusi.

Fra le varie "lezioni" che il De Carlini ascolta dagli abitanti di Marte, molte riguardano la storia della Terra. Egli dice di aver appreso da loro che l'Inghilterra in origine era attaccata alla Francia, e la Siberia all'America. Gli Stati Uniti per nove secoli, milioni di anni fa, furono sottomessi dagli "uomini gialli". Inoltre ottomila anni orsono negli Stati Uniti visse una specie di eroe, alto due metri e trentasei centimetri, con le chiome e la barba che raggiungevano il mezzo metro. Era vegetariano e adorava una splendida fanciulla che considerava come una divinità. Visse più di cent'anni e alla sua morte fu sepolto con un favoloso tesoro che ancora non è stato scoperto.



(articolo di Mila Contini da "Oggi" del 1953)

LE FIALE MIRACOLOSE DEL MARCHESE GIANNETTO





Nell’aprile del 1959 si tenne a Genova, a Palazzo Ducale, un processo molto particolare che, se non fossero stati presenti in aula molti di coloro che all’Antico Banco De Cavi avevano affidato i loro risparmi e che avevano perduto tutto, avrebbe certo potuto aspirare al titolo di più divertente dell’anno.

Il marchese Giannetto De Cavi era una delle personalità più in vista della società genovese: proprietario dell’Antico Banco De Cavi, una banca privata ereditata dal padre, aveva nel dopoguerra esteso la propria attività dedicandosi alla lavorazione della latta, all’importazione di macchinari agricoli ed anche all’editoria, rilevando nel 1945 un quotidiano, il “Corriere degli Alleati”. Oltre che agli affari, però, il marchese era anche incline alle cose spirituali, fino al misticismo e alla suggestione per le cose ultraterrene.

Nel 1951 sua suocera, la scrittrice Piera Delfino Sessa, recatasi nel Canton Ticino per una serie di conferenze religiose, incontrò un certo L. P.*, un personaggio piuttosto curioso.

L. era un cantante lirico che, nel 1946, viveva a Milano con la moglie. Un giorno, mentre si produceva in vocalizzi nella sua casa di Corso Monforte, improvvisamente gli apparve nientemeno che Gesù Missionario (?) in tutta la sua magnificenza, giunto a Milano appositamente per comunicargli le formule di due farmaci capaci di curare rispettivamente il cancro e la tubercolosi.

Senza ovviamente capire un’acca di chimica, L. e la moglie folgorati da tanta rivelazione si dedicarono completamente alla realizzazione delle fiale; tramite un certo Padre Roberto riuscirono ad introdursi negli ambienti farmaceutici milanesi, ma nessuno gli diede retta, quindi i due partirono per la Svizzera e si stabilirono a Bellinzona dove proseguirono nella loro opera. Si misero a fare proseliti e riuscirono a vendere parecchie scatole di medicinale al prezzo non proprio popolare di 25 mila lire la scatola, finché non furono espulsi dalla confederazione: le loro fiale, analizzate, risultarono essere piene di acqua solforata.

Fu a questo punto che avvenne l’incontro tra L. e la signora Delfino Sessa. L’ex-cantante capì subito che De Cavi era l’uomo del destino, colui che aveva i mezzi per dedicarsi alla fabbricazione delle fiale su larga scala. Tra i due uomini iniziò una fitta corrispondenza: L., che usava carta intestata col motto “Gesù, sola speranza”, a volte si rivolgeva al marchese col “lei” e si firmava semplicemente col suo nome; a volte invece gli dava del “tu” e firmava Gesù missionario

Dopo qualche tempo il marchese finalmente propose a L. l’acquisto delle due magiche formule. “Mi convinsi ad accettare”, disse poi questi ai giudici, “dopo che Gesù missionario parlandomi di De Cavi mi disse: “Questa è la mia linea”. Scrissi a De Cavi che la divina provvidenza aveva scelto proprio lui per la realizzazione del farmaco, e De Cavi, signori, credette. E adesso sono qui, in croce come il Signore, signor presidente…”.

Nel settembre del 1951, dopo tre mesi di trattative, l’affare venne concluso e L., in cambio delle formule, ricevette in tre rate quattro milioni e mezzo di lire ed un’apertura di credito di dieci milioni. Poco dopo i coniugi si trasferirono a Genova su invito del De Cavi che mise a loro disposizione un suo appartamento nella centrale Via Assarotti, e la storia di Gesù missionario e delle fiale cominciò a diffondersi in città. 

Il marchese, ormai preda del suo misticismo e convinto di essere stato prescelto per beneficare l’umanità, parlava con tutti del progetto, e gli aneddoti sulle sue stranezze cominciarono a moltiplicarsi: un giorno, per esempio, sarebbe stato sorpreso mentre riempiva un taccuino di dati inginocchiato davanti a un altare nella chiesa di San Matteo, un altro giorno un signore andò a casa sua per una colazione riservata  e vide la tavola imbandita per tre. “Non mi ha detto che aveva un altro ospite”, obiettò, e De Cavi: “No, no, è il posto riservato per Padre Pio. Ma è già presente, non vede che sta mangiando?”

Il banchiere fece smantellare una fabbrica per la lavorazione della lamiera che aveva a Nervi (sembra su indicazione di una lettera di Gesù missionario) e vi profuse milioni per trasformarla in un laboratorio farmaceutico, dotandola delle apparecchiature più moderne. La sua situazione finanziaria, però, andava paurosamente aggravandosi, e l’unica possibilità di riprendere quota consisteva ormai nelle fiale. In dicembre De Cavi si recò a Roma e presentò al ministero della Sanità la domanda per la fabbricazione e la vendita delle fiale: ne ebbe risposta negativa.

Fu un brutto colpo, ma non bisognava perdere la fiducia in Gesù missionario, e per questo c’erano le frequenti lettere di L. Un giorno ne ricevette una dove lesse: “Caro Giannetto, cerca di non essere troppo impaziente, perché tutto va come stabilito dal Padre mio che è nei Cieli. Ti benedico. Gesù missionario”

Pochi giorni prima di Natale i coniugi P. gli suggerirono di parlare della cosa con Mons. Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, cosa che il marchese, ormai incapace di ragionare lucidamente, fece in occasione degli auguri per le feste.

De Cavi, in verità, aveva ogni tanto dei momenti in cui tornava alla realtà: la produzione dei farmaci non andava avanti, il permesso non era stato concesso. Ma c’erano sempre, a dargli coraggio, le lettere

Un giorno, in risposta a domande e sollecitazioni rivolte a L., ricevette questo scritto. “No, non bisogna fare altre domande, perché la formula non avrebbe valore nel mondo per la convalidazione della Rivelazione. Tu comprendi che talvolta posso pure scherzare, con te come con gli altri, ma il Vangelo dice: date a Cesare quel che è di Cesare. A Roma si deve dare qualche bustarella un po’ fornita, al resto penserò io. Non hai compreso qual è il tuo dovere verso la medicina, come ti dicevo nella mia precedente? Mi spiegherò meglio e ti dirò che è ora di mettere da parte il residuo timore che hai nel subcosciente. Solo quando avrai finalmente eseguito i miei ordini sarai completamente tranquillo e tutto scorrerà pacifico. Infatti già due mesi fa ti avevo dato degli ordini che non hai eseguito nemmeno in parte: ascoltami ora e non temere. Se ho fatto dei P. i depositari di un meraviglioso segreto, credi che l’abbia fatto invano? Essi se ne sono resi degni in seguito a infinite prove e ora voglio da loro una certa quale garanzia che le mie parole non sono vane… a te ora il decidere sull’obbedienza. Saprai il resto e te ne darò i mezzi. Con la purezza del Divino Amore ti benedico”.

Evidentemente il marchese decise di obbedire agli ordini di Gesù missionario e proseguì nella corsa alle spese pazze per eliminare il cancro e la tubercolosi dall’umanità, e anche per concludere più prosaicamente l’operazione che avrebbe dovuto portare linfa alle semivuote casse del Banco e delle altre società, Ma il 31 maggio una notificazione della Curia mise le cose nei loro veri termini, avvertendo i fedeli di non prestare attenzione al portentoso medicamento di ispirazione divina.

Fu la fine delle visioni, delle lettere, delle fantasie. I coniugi P., per un certo periodo, andarono in carcere: poi sparirono, tornarono a Milano, e De Cavi rimase solo e senza incoraggiamenti celesti a cercare di fermare il tracollo, avvenuto ai primi di febbraio 1954.

De Cavi si rese latitante e venne arrestato soltanto nel luglio 1958 nella Villa Delfino di Stazzano, nei pressi di Serravalle Scrivia.

“Ma lei, De Cavi”, disse ad un certo punto il presidente del tribunale, “proprio lei che era così religioso, ha creduto anche quando Gesù missionario consigliava di corrompere le autorità di Roma con qualche bustarella?” De Cavi esitò un attimo: “No, no, questo particolare non l’ho tenuto in considerazione”

Intanto L., che era stato invitato dal presidente a controllare se le lettere di Gesù missionario allegate agli atti erano proprio sue, confermava tranquillamente: “Sì, mi sono state dettate da Gesù. Comunque, siccome mi venivano dettate e io non sapevo nulla di quel che facevo, rifaccio la firma e la confronto…” Un avvocato a questo punto gridò: “Ma si deve perdere così il tempo nel 1959?”. L., sempre serafico, allargò le braccia: “Il Signore è venuto per salvare tutti: per dare la mano a chi ne ha bisogno…”.


*su richiesta della figlia di L. P., sono stati omessi nomi e cognomi.

giovedì 18 ottobre 2018

AMILCARE POLLINI: UN UOMO, UN MITO





Dal gennaio 1950, quasi ogni giorno, parte da Milano una lettera “raccomandata-espresso” indirizzata a: Papa Pacelli, Città del Vaticano, Roma, Italia. L'indirizzo è scritto a macchina e in un angolo della busta, in rosso, c'è la dicitura: “riservata-personale”.


Sono lettere molto importanti, almeno questa è l'opinione del mittente, il signor Pollini Amilcare Pietro Angelo. Importanti e confidenziali, paterne possiamo dire, non prive di una certa affettuosa severità e di qualche rabbuffo. Amilcare Pollini le batte a macchina personalmente, in due copie con la carta carbone, e una copia la spedisce, l'altra la conserva con cura. Una di quelle lettere, in data 22 gennaio, ad un certo punto dice: “Che cosa aspetti dunque, Pacelli, figlio mio diletto, a venire da me come ti ho ripetutamente ordinato e a portarmi le chiavi di San Pietro? Non ascoltare i cattivi consiglieri che ti dicono di non venire, fa il tuo dovere, Pacelli, altrimenti va a finire che mi arrabbio”.


Le lettere alternano brani prosaici come quello riportato, a voli ispirati e vaneggianti, con qualche apocalittica invettiva. Ripetono tutte lo stesso concetto: il Papa deve lasciare Roma, recarsi a Milano, consegnare le chiavi di San Pietro al signor Pollini Amilcare, nuovo messia. Contengono anche istruzioni dettagliate per il viaggio. Già da tre o quattro anni Amilcare Pollini scrive lettere al Pontefice, prima assai raramente, e solo da un paio di mesi ha cominciato a scriverne con sempre crescente abbondanza. 

In dicembre lanciò un terribile ultimatum: il Papa doveva partire da Roma, per Milano, entro la mezzanotte del 31 dicembre 1949; mezzo di locomozione a scelta: treno, aeroplano, automobile o bicicletta; pena in caso di non obbedienza, l'incenerimento immediato della basilica di San Pietro. Trascorso dicembre e visto che il Papa non era partito né aveva risposto all'ultimatum, Amilcare Pollini ha deciso di concedere una proroga e ha scritto in questi termini: “Bene hai fatto, Pacelli, a non venire. Hai compreso che l'umile pecorella non va dal Pastore e che il figlio non va dal Padre suo, comodamente seduto in prima classe o in vagone letto. Ti concedo quindi di partire a piedi entro il 31 gennaio 1950. Non temere per la tua salute. Io penso a tutto e ti ho concesso un inverno mite per agevolarti. Tu percorrerai sette chilometri al giorno e, come vedi, avrai il tempo di riposar, mangiare, dormire e dire la messa ogni mattina. Arriverai a Milano il primo maggio e io della festa del lavoro profano farò anche la festa del lavoro sacro”.

Terminato gennaio Amilcare Pollini ha concesso una ulteriore proroga al Papa: egli potrà partire, a piedi, entro il 13 febbraio. Dovrà però percorrere otto chilometri al giorno anziché sette: quello che conta è giungere a Milano puntualmente il primo maggio.


Amilcare Pollini non si limita però a scrivere lettere al Pontefice. Egli lavora in un vasto ufficio di via Torino 47, a Milano, quattordici, sedici ore al giorno. Ha anche un paio di impiegati, ma le faccende più delicate se le sbriga da sé. Queste sono per lui settimane di attività febbrile: si prepara a scatenare la grande offensiva.

Ogni giorno spedisce in giro per il mondo centinaia e centinaia di manifestini scritti in cinque lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo. In tali manifestini egli si proclama nuovo messia e nuovo papa, salvatore dell'umanità. Li spedisce ai governanti, agli uomini politici, ai giornalisti, ai religiosi, agli studiosi di tutto il mondo: a tutti ordina di radunarsi il primo maggio a Milano, dove il Pontefice Pacelli dovrà consegnare al nuovo pontefice Pollini le chiavi di San Pietro. Poi tutti insieme se ne andranno a Roma.


Pollini ha speso dal primo dicembre a oggi, per la stampa e la diffusione dei suoi manifestini, circa tre milioni di lire. Ne ha stampati già di duecento tipi e continua a sfornarne quotidianamente, a migliaia di copie per ogni nuovo tipo.

Sono, per lo più, a quattro pagine, combinati con laboriosi fotomontaggi. Generalmente presentano, sullo sfondo, le più famose chiese italiane sovrastate dal volto del nuovo messia con gli occhi ispirati, la barbetta, i capelli lunghi fino alle spalle come si s'addice ad un messia che si rispetti. Sovente le basiliche sono sovrastate dai volti di altri due personaggi, un vecchio barbuto e una donna sorridente, di cui parleremo più avanti. Oltre alle immagini, ci sono delle frasi strabilianti, insensate e categoriche. Le parole sono scritte in modo curioso, quasi tutte spezzettate, divise da trattini, come queste scelte a caso fra tutte: “Sì, la Chi-e-sa catt-olica si unisce alle chiese pro-test-anti riaccendendo la fiamma uni-ver-sale Ecclesia di Cri-sto”.

Proprio in queste parole spezzettate sta tutta la sostanza della dot-trina, della straordinaria teoria di Amilcare Pollini. Egli afferma “ogni parola rivela la sua funzione” ed anche “la lotta tra Dio e il Demonio si nasconde nelle parole”. E così, col tono di chi ha scoperto l'universo, in uno dei suoi manifestini, indirizzato al Vescovo di Milano, esclama: “Tu, Ves-covo, esci dal tuo covo ves-satorio, proclama che Cristo è tornato e trasforma così il tuo vizio vesco-vile in virtù vesco-vale. Lo stesso dico ad ogni parroco re-calci-trante” (cioè, tirante calci al re).


E' l'ossessione delle sciarade, dei giochi di parole, spinta fino all'estremo limite e frammischiata a confusi e disparati frammenti di erudizione e filosofia.


La “rivelazione folgorante” il Pollini l'ha avuta alcuni anno fa quando, considerando le iniziali del suo cognome e dei suoi tre nomi (Pollini Amilcare Pietro Angelo), ha scoperto che formavano la parola P.A.P.A. Esaminando poi attentamente il suo primo nome, A-mil-ca-re (ora lo scrive sempre così) ha scoperto che abita (A) da un millennio (mil) nella casa (ca) del re (re). Ha considerato quindi la famosa faccenda del “mille e non più mille”. L'ha interpretata così: ogni mille anni cambia disco, viene un nuovo messia. Ed ecco che lui, A-mil-ca-re, non può essere altro che il messia del millennio in corso.


Giunti a questo punto non c'è più da meravigliarsi di nulla. Ecco infatti che Pollini, in uno dei suoi innumerevoli manifestini, dichiara categoricamente: “Sì, il Duomo di Milano sono io!”

L'affermazione può lasciare perplessi i non iniziati. Ma Pollini si spiega subito in modo più che esauriente: il Dio-uomo (il D-uomo) dei mille anni (di Mil-an) è lui, non c'è alcun dubbio. Chiaro come la luce del sole.


Amilcare Pollini vive ora completamente sommerso in queste sue strane teorie. Si esalta ogni volta che ha una delle sue intuizioni. Con gli occhi fiammeggianti lancia il suo nuovo messaggio: “Sì, al Giud-izio di Giud-a si sostituisce la Giusti-zia del Giu-sto!” e subito, febbrilmente, con forbici, colla, inchiostro di china, prepara un nuovo manifesto da dare alle stampe. Su ogni parola costruisce complicati castelli in precario equilibrio.


Tuttavia, a guardare attentamente in quella accozzaglia di insulsaggini, si scoprono tutti i motivi di una patetica e dolorosa vicenda familiare che gradatamente ha portato Amilcare Pollini alle sue teorie attuali. Egli ha ora 45 anni, è mingherlino, dimesso nel vestire: ha un aspetto sufficientemente normale, a prescindere dalla lunghissima capigliatura. Dieci, quindici anni fa era un editore di un certo nome: per moltissimi anni ha compilato e stampato la famosa “Guida Pollini per gli Industriali”, un grosso volume a carattere pubblicitario, con la quale ha guadagnato i milioni che ora va sperperando. Successivamente, durante la guerra, ha cominciato a scrivere opuscoli e volumi, pubblicandoli sotto il nome di Pinco Pallino, e dibattendo in essi, con una certa confusione, problemi sociali, esponendo teorie vagamente marxiste.

E' nato nel 1905 a Germignaga, presso Luino, da Ercole Pollini e Bonaventura Bia (quanti significati, ora, in quei nomi!). Nel 1938 sposò Gina Azzario, di tredici anni più giovane di lui, figlia del rivoluzionario marxista Eugenio Isidoro Azzario. La moglie e il suocero diventarono parte integrante e ossessionante della sua vita. 

La moglie, ammalata di tubercolosi un anno dopo il matrimonio fu ricoverata in un sanatorio. Il suocero aveva avuto una esistenza burrascosa, aveva subito, al sorgere del fascismo, un processo politico, era stato in carcere e al confino, aveva vissuto in Russia e in America Latina. Quando entrò nella vita di Amilcare, aveva già la mente agitata da complicatissime e astruse teorie astronomiche: Pollini ne rimase influenzato e sconvolto. In quel periodo cominciò a scrivere i libri di Pinco Pallino, libri che il suocero rivedeva e correggeva. Gina ogni tanto usciva dal sanatorio, ma dopo qualche mese era costretta a ritornarci.


Nel 1944 Pollini pubblicò un libro del suocero intitolato Assalto alla Luna e firmato con lo pseudonimo “5 ex”. Nella prefazione lui stesso scriveva: “Prima di pubblicare questo libro ho esitato cinque anni, e per cinque anni mi sono chiesto: il suo autore è un pazzo o un genio? Ancora non ho trovato la risposta, e tuttavia ho deciso di passare alla stampa il manoscritto integrale”. Pollini aveva ancora – come si vede, una discreta autocritica, ma ormai stava scivolando lui pure su un pericoloso piano inclinato, e un giorno ebbe una rivelazione folgorante: il suocero si chiamava E-u-genio (E' un genio). Un genio, dunque, non un pazzo. La rivelazione era finalmente venuta. Il suocero si chiamava anche Isid-oro: aveva quindi in sé “la sapienza di Iside dea della sapienza e di Oro dio dell'amore”. E non è tutto: si chiamava anche, di cognome, A-zz-ario, “ossia Ario dalla A alla Z”.

Amilcare Pollini precipitava ormai vertiginosamente. Chi poteva fermarlo? In una notte d'incubo comprese che il suocero altro non era se non il suo-cero. Dunque, colui che doveva illuminarlo, il maestro, la guida, il padre celeste. E sua moglie, che si consumava in sanatorio, si chiamava Gina, e siccome lui era il Re, lei era la Gina del Re, la Re-Gina celeste. Era la Donnina ma-lata, la Donnina del Ma, la Ma-Donnina.


Gina Azzario si spense il 15 giugno 1948 nel sanatorio di Prasomaso. Ma ora la sua immagine sorridente, l'immagine della Ma-Donnina, della Re-Gina, è su tutti i manifestini compilati e stampati dal nuovo messia, sovrasta le cattedrali, insieme all'immagine di Eugenio Azzario, il quale vive tranquillamente a Germignaga e ogni tanto fa una scappata a Milano per abbracciare il genero e dissertare con lui, e a quella di Amilcare Pollini. Essi sarebbero, secondo Pollini, le persone della Nuova Trinità.


Ma la storia dell'ex editore non è finita. Su alcuni manifestini c'è anche l'immagine di una bimba di cinque o sei anni. A chi lo interroga in proposito Pollini risponde: “Ci sono due Marie, non è vero? La Maria Santa e la Maria Maddalena peccatrice. Quando la Ma-Donnina, la Maria Santa, era in sanatorio, io, che sono il vero dio ma anche il vero uomo, il vero maschio, ho incontrato la Maria Maddalena che si è innamorata follemente di me. Come mi chiamo io? Mi chiamo Pollini. E' quindi evidente che la mia missione è quella di dare il polline fecondo, di impollinare. Ho dunque impollinato la Maria Maddalena e così è nata la bimba”.


Questa è ormai la vita di Amilcare Pollini e questa è la sua religione. Lavora febbrilmente e coi suoi manifestini lancia anatemi: “Tu, De Ga-speri, che cosa speri? Non sai che chi vive De-Ga-sperando muore cantando?”, “Tu, Tru-man, sei l'uomo del tru-cco all'americana. Infatti il TRU-cco c'è MA N-on si vede”.

Ma scrive specialmente, in questi giorni, al Santo Padre. “Parti dunque, Pacelli, portami qui a Milano le chiavi di San Pietro, assolvi la missione che io ti ho affidato e che è quella di portare la pace tra elli. Vieni a Milano il primo maggio a piegare il gin-occhio davanti all'occhio di Gina, altrimenti busserai invano alla porta del Paradiso”.

E' sicurissimo che il primo maggio il Pontefice giungerà puntualmente a Milano. “E se non venisse?” La domanda lo coglie di sorpresa, poi esclama: “Verrà, verrà, perché non dovrebbe venire?” “Ma se non venisse?” Amilcare Pollini medita un istante prima di rispondere, poi con gli occhi spiritati grida: “Se non viene il Papa, verrà Stalin. Scrivetelo sui giornali, ditelo al mondo!”

All'improvviso tace, folgorato da una nuova rivelazione. “No”, dice, “Sta-l-in non può venire perché lui sta là in Russia e non si può muovere. Ma non importa: dite che, se Pacelli non viene da me, io vado da Stalin”.