Il destino di Maria Negrin mutò il suo corso
drammaticamente nel pomeriggio di domenica 22 agosto 1954, quando la ragazza fu
portata in gravissime condizioni all’ospedale di Thiene. Era ferita alla
faccia, con deformazione al viso per la frattura comminuta esposta della mandibola, aveva una commozione cerebrale. I medici la ricoverarono
d’urgenza, in prognosi riservata. Poco prima, viaggiando su un ciclomotore
sulla strada che da Zané porta ad Arsiero, nei pressi di Piovene Rocchette
aveva perso il controllo del veicolo, aveva cominciato a sbandare. Era rotolata
sull’asfalto, rimanendo immobile, con una grave ferita al viso.
Fino a quel momento, la giornata di Maria Negrin era
stata simile a tutte le altre domeniche di una domestica veneta. Maria aveva
ventiquattro anni. Suo padre era operaio, sua madre una donna del popolo;
appena cresciuta la ragazza aveva dovuto cercarsi un mestiere ed era andata a
servizio. Da qualche tempo era domestica presso la famiglia Grendene di Thiene:
una domestica come tante, comune, con un corpo robusto e resistente alla
fatica, grandi occhi neri, il naso un po’ piatto, le labbra grosse e folti
capelli scuri.
Domenica 22 agosto, dunque, Maria durante il suo pomeriggio di libertà era tornata a casa a Zané; aveva ottenuto in prestito il ciclomotore dal fratello Giuseppe, puntando su Arsiero. Poco dopo accadeva la disgrazia.
Domenica 22 agosto, dunque, Maria durante il suo pomeriggio di libertà era tornata a casa a Zané; aveva ottenuto in prestito il ciclomotore dal fratello Giuseppe, puntando su Arsiero. Poco dopo accadeva la disgrazia.
Per dieci giorni Maria Negrin lottò contro la morte.
Pareva che per lei vi fossero poche speranze ed invece la sua eccezionale
resistenza fisica ebbe il sopravvento: poco per volta la ragazza si riprese, si
avviò lentamente verso la guarigione. E fu allora che si ebbe l’incredibile
rivelazione che ha mutato la vita, letteralmente, della domestica vicentina.
La prima scoperta la fece un’infermiera che la assistette durante il delirio. Più che una scoperta si trattava di sospetti, di perplessità: l’infermiera, per molti particolari, non era ben certa che quella paziente moribonda fosse una donna, e se lo era aveva caratteri ben strani per un essere femminile. Quando quei dubbi, dopo cauti esami, si furono rafforzati, fece rapporto ai propri superiori.
La prima scoperta la fece un’infermiera che la assistette durante il delirio. Più che una scoperta si trattava di sospetti, di perplessità: l’infermiera, per molti particolari, non era ben certa che quella paziente moribonda fosse una donna, e se lo era aveva caratteri ben strani per un essere femminile. Quando quei dubbi, dopo cauti esami, si furono rafforzati, fece rapporto ai propri superiori.
Cominciarono visite precise, ispezioni scientifiche, ma
non vi fu motivo di incertezze: Maria Negrin era un uomo, molto evidentemente,
senza che vi fosse necessità di operazioni di sorta.
La curiosità generale si scatenò sul singolarissimo caso.
“Il ferito” di Piovene Rocchette confessò di aver conosciuto il suo stato da
gran tempo, ma di averlo sempre taciuto, preferendo continuare a vivere secondo
lo stato civile che lo indicava femmina, piuttosto che secondo la natura che lo
rivelava maschio. E questo è appunto il mistero.
Questa la singolarità eccezionale, la parte umanamente oscura e triste della vicenda: la sorte di quest’uomo che sa di essere tale in realtà e che la società e la legge vogliono donna, che vive per anni e anni nell’ambigua condizione, deciso forse a perpetuarla per tutto il resto dei suoi giorni, per timidezza o per calcolo, per convenienza o per vergogna, chiuso nel suo segreto, in un ambiente che ignora l’incomprensibile e miserevole dramma.
Questa la singolarità eccezionale, la parte umanamente oscura e triste della vicenda: la sorte di quest’uomo che sa di essere tale in realtà e che la società e la legge vogliono donna, che vive per anni e anni nell’ambigua condizione, deciso forse a perpetuarla per tutto il resto dei suoi giorni, per timidezza o per calcolo, per convenienza o per vergogna, chiuso nel suo segreto, in un ambiente che ignora l’incomprensibile e miserevole dramma.
Maria (o meglio Mario) Negrin è ancora molto debole e i
sanitari lo isolano giustamente dalla curiosità altrui. Non si sa se abbia
fatto dichiarazioni, tranne quella, sensazionale, che conosceva il suo stato,
pur vivendo da donna. La sua vita è sempre stata normale: è noto però che ai
balli, quando andava, preferiva danzare valzer e tanghi con ragazze, rifiutando
gli inviti maschili. E’ certo che non ha mai avuto fidanzati, ma anche le sue
conoscenze femminili erano scarse. Lavorava seriamente, con buona volontà: la
sua padrona, la signora Lena Grendene, ha dichiarato che si comportava con zelo
ed onestà, sopportando grosse fatiche.
Per i sanitari, dal punto di vista medico, il caso di
Mario/Maria non ha nulla di eccezionale. Egli è uomo senza possibilità di
dubbio. Da questo lato, il problema sarà unicamente di rieducazione
psicologica.
Per la levatrice Angelica Carollo, che ventiquattro anni
or sono aiutò la signora Angela Negrin a dare alla luce la sua creatura, il
neonato era allora di sesso femminile, o almeno pareva tale: pertanto, il
mutamento sarebbe avvenuto successivamente. Del resto incertezze sulla
determinazione del sesso, per imperfetta presentazione dei relativi caratteri,
sono abbastanza frequenti al momento della nascita.
I genitori del protagonista dell’eccezionale episodio,
sono sbalorditi. Il padre di Mario, l’operaio Giulio Negrin, non aveva mai
avuto il più piccolo sospetto che sua figlia fosse un figlio. Non può adattarsi
all’idea che dall’ospedale gli rimandino a casa una persona che non è quella che
ha sempre amato: e tira fuori del portafogli una fotografia di “Maria”. Si vede
una ragazza dall’espressione dolce, con gli occhi mansueti, i capelli ondulati,
una camicetta bianca alla “Robespierre” sul tailleur scuro. Nessuno
immaginerebbe, in realtà, che quella sia l’effigie di un pezzo di ragazzo in
età di andare soldato.
Intanto i medici hanno per Mario/Maria tutte le cure. Ha
subito proprio in questi giorni un serio intervento di plastica facciale che
annullerà le conseguenze estetiche della sua ferita, è circondata da ogni
attenzione. Sarà, con ogni probabilità, sottoposto ad ulteriori visite ed
esami, anche perché ora la sua situazione civile si complica e si presentano
per lui numerosi nuovi problemi.
Per cominciare dal più elementare: uscirà dall’ospedale
vestito da uomo o da donna? Quale lavoro cercherà, da ora innanzi? Come si
comporterà con i vecchi amici, con le vecchie amiche? C’è poi la sua situazione
allo stato civile che va corretta e, di conseguenza, molto probabilmente Mario
Negrin dovrà prestare servizio militare. Infine, se risultasse che egli ha
simulato il suo stato, potrebbe subire, proprio in relazione al finora mancato
servizio militare, delle conseguenze penali. Prospettive, quindi, complesse e
confuse.
Per esempio, ha cominciato a farsi viva l’autorità
giudiziaria, la quale sta per avanzare richiesta di una relazione medica allo
scopo di stabilire gli eventuali mutamenti da far apporre al registro dello
stato civile, e una richiesta analoga è stata avanzata dall’ufficiale di stato
civile di Zané, anche se l’autorità competente a far promuovere la causa che
sarà discussa alla sezione civile del tribunale è solamente quella giudiziaria.
Solo allora saranno mutati i registri: fino a quel momento Mario Negrin sarà
maschio per la scienza e femmina per la legge, per la famiglia e – forse – per
sé.
Psicologicamente la vicenda di Mario Negrin è certamente
complessa e degna di comprensione. Probabilmente, educato da bambina, cresciuto
da bambina, convinto di essere tale, si è accorto ad un certo punto della sua
vera condizione fisica e ne è rimasto sconvolto ed atterrito, nella convinzione
– forse – di essere imperfetto o minorato. Ed allora ha nascosto il suo stato a
tutti, si è adattato ad una condizione umana falsa e segreta, pur di non
affrontare il rischio di una supposta vergogna. Poi, in un pomeriggio di
agosto, sulla strada assolata che porta ad Arsiero, è avvenuta la disgrazia che
doveva clamorosamente rendere pubblica tutta la verità.
Articolo di Silvio Bertoldi da “Oggi” nr. 39 del
30/9/1954