venerdì 11 gennaio 2019

IL CASO MONTESI VI - 2

LA VITA DI WILMA NON POTEVA AVERE SEGRETI
Articolo di Giuseppe Montesi da “Oggi” n. 17 del 29/4/1954
- seconda parte - 




Il venerdì 10 aprile riprendemmo le ricerche alle 7 del mattino. Visitammo tutti i luoghi già esplorati la sera innanzi; in questura, sollecitammo le ricerche. In mattinata Rodolfo telefonò a Potenza per avvertire Giuliani, non lo trovò in sede, e la trascrizione della telefonata, la cui sostanza era “Wilma è scappata di casa”, fu scambiata dai giornali per un telegramma. Giuliani, venuto a conoscenza dell’avviso, telefonò a Roma a sua volta per avere notizie e per spiegare che il suo comando non riteneva quella espressione sufficiente per permettergli di partire. Allora Rodolfo aggravò di proposito il testo della telefonata successiva, dicendo: “Prevedesi suicidio, vieni subito”. L’espressione, ripresa dai giornali e confrontata con la precedente, generò un primo equivoco.

Viceversa, a Roma, dal venerdì al sabato, la nostra aspettativa divenne meno tragica. Facemmo infatti la congettura che Wilma non fosse rimasta vittima di una disgrazia e che non si fosse nemmeno suicidata. Da una parte, infatti, pensavamo che fosse già trascorso il tempo sufficiente per scoprire la sua salma, dall’altra avevamo scoperto, interrogando Wanda, che Wilma era rimasta infatuata anni prima di un professore di Rocca di Papa, durante i consueti soggiorni estivi della famiglia nella casetta che Rodolfo aveva acquistato in paese. Si trattava di una persona molto più anziana di lei e già sposata, ma l’età di Wilma al tempo dell’infatuazione (quindici anni) diceva chiaramente che si trattava di un sentimento tipicamente giovanile, mentre sapevamo che la persona non ci aveva fatto nemmeno caso.

Tuttavia, la domenica mattina, molto presto per non dover spiegare il particolare a Giuliani in arrivo da Potenza, Sergio, la mia fidanzata ed io ci recammo in macchina a Rocca di Papa, rintracciammo il professore, con un lungo giro di parole chiedemmo se per caso avesse visto Wilma in quei giorni, ma capimmo subito che l’uomo cadeva dalle nuvole. Perciò tornammo a Roma in tempo per sapere che il cadavere della mia povera nipote era stato ritrovato e giaceva all’obitorio, dove già mio fratello l’aveva riconosciuto.




In casa nostra Torvaianica non si sapeva neppure dove fosse. Rodolfo, Sergio, Giuliani ed io, con la mia macchina, ci andammo il lunedì pomeriggio. La gente del luogo ci disse come la salma di Wilma era stata ritrovata: fresca, composta, non sembrava quella di un’annegata. Con l’assistenza di una guardia di finanza Giuliani cercò di condurre l’indagine. Cercavamo il reggicalze, le calze, le scarpe, la borsetta mancanti. Ritenevamo infatti che gli oggetti fossero già stati asportati dai vagabondi che perlustrano quotidianamente quei corsi d’arenile. Ci dissero che sulla spiaggia, in direzione di Ostia, esistevano delle piccole anse dove la corrente trasportava da sud i relitti, ma rinunciammo a raggiungerle.

Giuliani scoprì il particolare della 1900 con a bordo la coppia che il giovedì era stata vista nei pressi della spiaggia, ma quando, fatto un largo giro e penetrati in un recinto che tuttora non so se fosse quello di Capocotta, domandammo a un guardiano, questi escluse che la ragazza dell’auto fosse la stessa di cui Giuliani mostrava la foto. Aggiunse invece che il giovane al volante della 1900 era un principe di casa Savoia, il quale poi era tornato sul posto con la stessa ragazza nei giorni successivi.




Comunque, alla fine di quella drammatica giornata, noi eravamo convinti che Wilma fosse stata assassinata. Wilma, pensavamo poteva aver raggiunto quella spiaggia deserta solo in compagnia di qualcuno e a bordo di un’auto.

La supposizione della gita a Ostia, che Wanda aveva elencato nei giorni precedenti, era nel frattempo tornata in ballo; ma apparve in tutta la sua consistenza soltanto quando la professoressa Rosetta Passarelli si presentò a casa di Rodolfo per testimoniare d’aver visto Wilma, serena e allegra, sul treno per ostia tra le 17.30 e le 18 del fatale giovedì. Si concretizzò allora l’ipotesi del pediluvio, che può apparire strana, ma in realtà è verosimile.

Wilma aveva comprato da poco un paio di scarpe nuove, alle quali teneva molto; le scarpe le avevano prodotto sul calcagno una escoriazione; Wilma aveva cercato di eliminare l’inconveniente mettendo un rialzo nelle scarpe e inserendo dell’ovatta fra la scarpa e il calcagno. A un certo punto, incautamente, credette di guarire l’escoriazione con la tintura di iodio: naturalmente il fastidio crebbe e la madre le disse che semmai poteva giovarle l’iodio marino, non quello farmaceutico, e così Wilma aveva manifestato più volte il proposito di andare a Ostia, e lo ripeté anche il giorno della scomparsa. Ma, ripeto, alla gita a Ostia sul principio non si era dato peso, perché le abitudini sia di Wilma che di Wanda non consentivano di supporre che Wilma si fosse recata a Ostia sola. Se c’era andata lo aveva fatto sapendo di commettere una scappatella che avrebbe messo in ansia i genitori.

In ogni modo ci recammo a Ostia per raccogliere degli eventuali indizi. Fu Rodolfo a raccogliere la testimonianza della bambinaia che si dice sicura di aver visto Wilma sostare sul tratto di spiaggia libera adiacente a quella riservata agli allievi della Guardia di Finanza. Alla capitaneria di porto apprendemmo che difficilmente una salma avrebbe potuto percorrere anche in 30-36 ore i quattordici o più chilometri fra l’arenile di Ostia e quello di Torvaianica, ma che tuttavia la cosa non era impossibile: tempo addietro un bagnino era annegato e la sua salma aveva percorso all’incirca il medesimo percorso.

Certamente, a questo punto, le nostre perplessità aumentarono. La nostra capacità di indagare e di riflettere era, del resto, minorata dall’angoscia e dal pensiero dei funerali imminenti e dallo stato di prostrazione in cui si trovava mia cognata. Rientrammo a Roma. Rodolfo era sconvolto, Giuliani più di lui. Una lettera anonima, ritirata da Sergio in portineria, diceva esattamente così: “Piuttosto che darla a un cane di poliziotto l’ho ammazzata. E presto ci sarà un’altra Wilma”. Wanda era atterrita, Giuliani fu colto da un attacco di nervi, Rodolfo e Sergio dovettero trattenerlo.

È passato più di un anno dalla scomparsa di mia nipote. È naturale che, con tutto quel che è successo, nella mia famiglia si siano riesaminate tutte le ipotesi, vagliate tutte le supposizioni nuove, considerate tutte le “verità” affiorate in maniera più o meno ortodossa. Ed è naturale che, a poco a poco, noi ci siamo orientati in un certo senso, senza per questo abbandonarci a una convinzione assoluta, poiché gli elementi in nostra mano possono essere all’incirca quelli di cui dispone l’autorità inquirente.

Debbo innanzi tutto dichiarare che nella mia famiglia la vicenda Caglio/Montagna/Piccioni/Bisaccia è considerata una sovrastruttura estranea ai motivi che possono aver portato alla morte di Wilma. È estremamente improbabile, anzi romanzesco, che Wilma possa aver conosciuto una qualunque di quelle quattro persone. Wilma era una ragazza modesta, così timida da trasalire a un semplice complimento. Il suo modo di vestire, di comportarsi, di parlare, tradivano la modestia dell’ambiente in cui era nata e viveva e non potevano essere certamente elementi bastanti per suscitare l’interesse di un Montagna o di un Piccioni.

Debbo anche aggiungere che ella, in persona, era meno appariscente di quanto si giudicò dalle foto col maglione bianco o con la collana che furono pubblicate su tutti i giornali alcuni giorni dopo la sua morte. Quelle foto facevano parte di una serie “in posa” che Wilma si fece fare per spedire al fidanzato e che, per la luce o per il ritocco, diede al suo volto una espressione enigmatica che in realtà non aveva, ma che contribuì fortemente a impressionare l’opinione pubblica. In altre foto invece Wilma appare com’era: una bellezza più casta.

Egualmente, nella mia famiglia, vengono considerate sovrastrutture (non sappiamo se motivate da patologico desiderio di pubblicità o da motivi più oscuri e disonesti) le “verità” addotte da altri vari personaggi come Pierino Pierotti, Francesco Tannoja, Maddalena Caramello, eccetera. In casa nostra appare fantastica l’ipotesi che Wilma s’intendesse o trafficasse in stupefacenti; ed anche per quel che riguarda le lezioni d’inglese che Wilma avrebbe preso in ambienti misteriosi, non sapremmo a quali necessità di Wilma dovessero essere legate, dato che il padre era dichiaratamente contrario a collocare le figliole in un impiego e lei stessa, per natura, preferiva stare in casa.

La verità dunque, secondo le nostre convinzioni, dovrebbe essere ricercata fuori dalla sovrastruttura Caglio, fuori dalla deviazione degli stupefacenti e fuori da altri ambienti misteriosi ed equivoci.

Esaminiamo l’ipotesi del suicidio. Innanzi tutto, se Wilma avesse voluto uccidersi, avrebbe scelto un luogo più vicino, un mezzo più semplice o il Tevere. In secondo luogo a nostro parere Wilma non aveva motivi per suicidarsi. Per Giuliani portava probabilmente dell’affetto, ma i segni della sua lealtà verso di lui si erano manifestati in varie occasioni: tra l’altro, a domanda di Giuliani disse che lo avrebbe seguito anche in Australia, se lui avesse avuto modo di realizzare questo suo vecchio proposito. E il bracciale, la collana, la fotografia furono lasciati a casa, con ogni probabilità, sia per non dare nell’occhio trovandosi a viaggiare sola, sia per quel senso di meticolosa cura che Wilma poneva nel custodire gli oggetti di valore e nel preservarli dagli ambienti come la spiaggia, dove potessero andare perduti o sciupati. Non manifestò inoltre nella giornata del 9 aprile dei motivi di depressione: s’interessò al suo corredo, mangiò con appetito, canticchiò seguendo la radio. Wilma non può essersi suicidata a meno che non sia stata colta, improvvisamente, da un inspiegabile collasso psichico.

L’ipotesi dell’omicidio, volontario, colposo o preterintenzionale, è più complessa. Noi la formulammo per la prima volta a Torvaianica, per trascurarla dopo che la professoressa Passarelli ci assicurò di aver visto Wilma sul treno per Ostia. Wilma poté essere vittima di qualcuno che volesse approfittare di lei? Noi non possiamo in senso assoluto escluderlo, ma gli elementi che ci fanno fortemente dubitare di questa supposizione sono numerosi. Secondo la perizia ordinata dalle autorità e la controperizia presentata dal professor Pellegrini, Wilma avrebbe dovuto consentire a qualcuno di condurla in auto sul posto o nelle immediate vicinanze.

Ma Wilma non aveva segreti. La sua vita sentimentale era trasparente come il vetro, le sue confidenze alla sorella e alla madre complete, tanto è vero che della vecchia e innocente infatuazione di Wilma per il professore di Rocca di Papa era al corrente perfino il fratello Sergio. È possibile che Wilma custodisse un segreto più grosso, che non avesse confidato mai ad alcuno? Questa supposizione è estremamente improbabile. Il carattere, le abitudini, gli atteggiamenti di Wilma negli ultimi giorni dovrebbero farla escludere. Nessuno in casa crede che la nostra Wilma conducesse una doppia vita. Se qualcuno la condusse in riva al mare dovette farlo con la forza o con l’inganno. Se qualcuno aggredì Wilma a Ostia dovrebbe trattarsi di un bruto, che agì di sorpresa. Si potrebbe anche immaginare che Wilma sia stata adescata sul posto da una donna, la quale sia riuscita con maniere insospettabili ad assicurarsi la sua fiducia con scopi personali o su incarico di altri; si tratta di un’ipotesi estrema. Wilma non era tipo da lasciarsi avvicinare da persone sconosciute, soprattutto uomini.

La supposizione verso la quale propende tuttora la nostra famiglia è quella della disgrazia. Un complesso di ragioni, di indizi, di sfumature forse impalpabili dall’osservatore esterno riconducono costantemente i componenti della famiglia a questa convinzione: Wilma andò sola sulla spiaggia di Ostia, in un tratto che non è stato possibile determinare, e vi morì annegata per un malore improvviso o per un incidente istantaneo. Per questa ragione nell’acqua non si dibatté, non bevve e il corpo poté mantenere la straordinaria freschezza con cui fu ritrovato. Il tragitto da Ostia a Torvaianica fu compiuto dalla povera salma in tempo che è stato giudicato relativamente breve; ma esso fu forse trasportato dalle onde in burrasca prima al largo, dove poté essere preso sul filo della corrente, e poi trasportato a sud.

Wilma andò veramente a Ostia per un pediluvio, per guarire del piccolo inconveniente al calcagno? Lo riteniamo tuttora probabile. Ma vi potrebbero essere altri semplici, spontanei motivi persi ormai nel colossale castello delle ipotesi verosimili, romanzesche o interessate. Per esempio, il desiderio di fare una gita, col rischio calcolato di far inquietare papà Montesi: rimasta sola in casa l’idea della gita può essere apparsa a Wilma come una piacevole, attraente novità, ed anche come un piccolo significativo gesto di rivolta all’autorità paterna. Forse, con quel gesto, intendeva ricordare al padre di avere superato la maggiore età. Tempo addietro aveva chiesto a Wanda e a Sergio, con una certa curiosità, quando una donna, secondo la legge, dovesse considerarsi maggiorenne, e Wilma aveva compiuto i ventun anni da pochissime settimane: esattamente il 3 febbraio 1953.



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