LA VITA DI WILMA NON POTEVA AVERE SEGRETI
Articolo di Giuseppe Montesi da “Oggi” n. 17 del
29/4/1954
- prima parte -
Giuseppe Montesi, fratello di Rodolfo, è lo zio di Wilma,
la povera ragazza trovata morta a Torvaianica l’11 aprile 1953. Ventottenne,
impiegato, nella cerchia familiare dei Montesi Giuseppe è il personaggio che
portò più degli altri aiuto al fratello all’epoca della scomparsa della
ragazza, conducendolo con la sua “giardinetta” nei luoghi suggeriti dalle prime
affannose supposizioni, seguendo e assecondando le indagini ufficiali. Abbiamo
chiesto ed ottenuto, dopo lunghe insistenze, da Giuseppe Montesi queste
dichiarazioni, che hanno lo scopo di far percorrere all’opinione pubblica un
nuovo tratto, a nostro parere importante, sulla via della verità nel dramma che
ha commosso l’Italia intera.
Quando queste dichiarazioni saranno pubblicate, esse non
mancheranno di essere analizzate, bersagliate e magari anche fraintese dai
tecnici dell’indagine dilettantistica. Saranno anche, forse, sfavorevolmente
commentate da mio fratello Rodolfo. Ma io so che alla fine della nostra triste
vicenda Rodolfo me ne ringrazierà. Purtroppo lo sdegno di mio fratello, il
dolore di mia cognata, la timidezza di mia nipote Wanda hanno, secondo me,
contribuito con dichiarazioni incomplete, con espressioni rese poco chiare
dall’emozione e dall’impreparazione, a creare impressioni false, a determinare
deviazioni e convinzioni errate.
Ma qui non si tratta di una intervista. Ho avuto il tempo
necessario per allineare i miei ricordi e le mie impressioni. Potrei
proiettare, è la parola, la pellicola cinematografica della drammatica annata
che ha sconvolto la famiglia di Rodolfo. Ma basterà, per quel che mi si chiede,
annotare i passaggi più importanti, le “sequenze” che possono avere un
significato.
La prima telefonata d’allarme da parte di mia cognata
Maria a casa di mio padre fu fatta verso le 9.30 di sera del giovedì 9 aprile
1953. Abito con mio padre Riccardo, con mia madre e due fratelli in via
Alessandria, poco lontano dall’abitazionedi Wilma. Mio padre è l’unico tra i
parenti stretti a possedere il telefono: era naturale che Maria si rivolgesse a
noi per primi per aver notizie della figlia, che all’ora della cena non era
rientrata in casa. Si trattava, in verità, di un fatto inconsueto. Per l’ora
della cena Wilma e Wanda si trovavano per abitudine sempre a casa, e Wilma
usciva da sola assai di rado. Mia cognata e sua figlia esitarono prima di
confessare a Rodolfo che non sapevano dove si trovasse Wilma, per non subire un
rimprovero, che data l’intransigenza di mio fratello poteva esser aspro.
Da molto tempo faceva da sfondo a questo atteggiamento di
Rodolfo una situazione comune, credo, a tante altre famiglie della piccola
borghesia: da una parte l’orgoglio di mio fratello d’essere a capo di una
famiglia esemplare e dall’altra il desiderio, perfettamente comprensibile, di
Maria, di allargare un po’ la stretta regola cui erano sottoposte le figliole
per consentir loro di fare quel minimo di conoscenze necessarie per trovarsi un
marito. Una situazione che aveva assunto in qualche occasione toni aspri:
Rodolfo, la cui posizione economica, fra l’altro, da due o tre anni non era
buona, non era stato in grado di assecondare pienamente la moglie nella sua
aspirazione di presentare in qualche buon ambiente le figliole, mentre Maria
cercava di vincere, anche ragionando, il rigore del marito e l’apatia delle
ragazze per assicurare a queste ultime la sistemazione tradizionale.
Da tutto ciò era nato, quasi d’improvviso, il
fidanzamento di Wilma con l’agente di pubblica sicurezza Angelo Giuliani. Si sa
come l’incontro fra i due avvenne: in una sala da ballo, dove mia cognata aveva
condotto Wanda e Wilma, e dove Giuliani, da buon meridionale, aveva messo le
carte in tavola facendo a Wilma una corte tenace e parlando subito di matrimonio.
Bisogna aggiungere che il fidanzamento fu accolto da Rodolfo con netta
avversione. Quando Giuliani, in casa, lo chiamò “papà”, mio fratello non poté trattenere
un moto di stizza.
E Wilma? Ricordo, in proposito, un episodio. La sera in cui Giuliani fu presentato a casa nostra, io, la mia fidanzata e Wilma lo accompagnammo con la mia “giardinetta” alla stazione degli autopullman in partenza per Marino, dove era di stanza. Al ritorno fermai la macchina a Porta Pia per comperare le sigarette, ma poiché in quel punto c’è divieto di sosta dovetti restare a bordo per tenere il motore acceso, e mandai a comprarle la mia fidanzata. Perciò ebbi l’occasione di restare solo con mia nipote, e le dissi: “E così, Wilma, ti sposi…” Lei ripeté: “Mi sposo…” con l’aria di dire: “Ecco che debbo fare…”
Le lettere che Wilma mandava a Potenza al fidanzato erano
lette, come si sa, nella minuta, dalla sorella e dalla madre: quest’ultima si
adoperava affinché Wilma si esprimesse con maggior calore.
Ritengo, in definitiva, che Wilma non fosse troppo
entusiasta di Giuliani; ma lo aveva accolto per i suoi seri propositi e sono
convinto, per quel che mi consta, che si comportasse con perfetta lealtà verso
di lui. Giuliani, d’altra parte, innamorato com’era, sembrava non accorgersi
che la relazione non era perfetta e che Rodolfo e la stessa Wanda in un primo momento,
non lo gradivano. Non gliene venne il dubbio neppure il giorno in cui accadde
l’episodio in seguito al quale da Marino fu trasferito prima a Civitavecchia e
poi a Potenza. Giuliani aveva mostrato delle foto di Wilma ad alcuni colleghi,
che avevano fatto ridendo degli apprezzamenti sull’avvenenza di Wilma; lui li
interpretò nel senso che i colleghi ritenessero precario il suo ruolo di fidanzato.
Ne seguì un violento pugilato, che costò a Giuliani, oltre al trasferimento,
una dura punizione.
È stato necessario premettere tutto ciò per dare un’idea
chiara dei reali atteggiamenti dei miei familiari nel momento in cui scoppiò la
tragedia e degli orientamenti che, di giorno in giorno, allora e in seguito,
dovevano prendere le nostre supposizioni.
Dunque, la sera del 9 aprile, Wilma non s’era affacciata
a casa nostra. Verso le 10 fu Rodolfo stesso a ripetere la telefonata e a
pregarmi, con voce che tradiva una vivissima inquietudine, di recarmi subito
con la “giardinetta” a casa sua, per cominciare le ricerche. Non ci orientammo,
da principio, verso Ostia, perché l’indicazione di Ostia, in un primo tempo,
era stata da Wanda elencata ma non considerata con sufficiente attenzione da me
e da mio fratello. Pensammo dunque che Wilma fosse stata costretta ad
attardarsi o fosse stata colta da un malore passeggero sulla via del ritorno a
casa. Percorremmo perciò con la macchina le vie adiacenti, esplorammo il parco
Nemorense, prossimo a via Tagliamento, raggiungemmo il laboratorio e la
segheria di Rodolfo, guardammo nel pozzo che si trova presso quest’ultima. A
tarda notte, telefonando a casa, dove Wanda e sua madre ci aspettavano in
lacrime, Wanda ci annunciò con costernazione di aver trovata nel cassetto del
comò in camera dei genitori, il braccialetto, la collana e la foto di Giuliani
che Wilma portava sempre con sé.
Spostammo immediatamente le nostre supposizioni sul
suicidio. Poteva Wilma essersi suicidata? Non cercammo, nell’ansia del momento,
di indagare le cause. Facemmo denunzia della scomparsa al commissariato, ci
recammo alla questura centrale, facemmo il giro degli ospedali, percorremmo in
su e in giù il lungotevere, nel caso si notassero degli assembramenti. Era quasi
l’alba quando tornammo a via Tagliamento. La scena in casa del mio povero
fratello era straziante: mia cognata, in ginocchio per terra, invocava la sua
bambina; Wanda e Sergio, il fratello più piccolo, cercavano di consolarla.
Nessun commento:
Posta un commento