venerdì 11 gennaio 2019

IL CASO MONTESI VI-1




LA VITA DI WILMA NON POTEVA AVERE SEGRETI

Articolo di Giuseppe Montesi da “Oggi” n. 17 del 29/4/1954
- prima parte -






Giuseppe Montesi, fratello di Rodolfo, è lo zio di Wilma, la povera ragazza trovata morta a Torvaianica l’11 aprile 1953. Ventottenne, impiegato, nella cerchia familiare dei Montesi Giuseppe è il personaggio che portò più degli altri aiuto al fratello all’epoca della scomparsa della ragazza, conducendolo con la sua “giardinetta” nei luoghi suggeriti dalle prime affannose supposizioni, seguendo e assecondando le indagini ufficiali. Abbiamo chiesto ed ottenuto, dopo lunghe insistenze, da Giuseppe Montesi queste dichiarazioni, che hanno lo scopo di far percorrere all’opinione pubblica un nuovo tratto, a nostro parere importante, sulla via della verità nel dramma che ha commosso l’Italia intera.




Quando queste dichiarazioni saranno pubblicate, esse non mancheranno di essere analizzate, bersagliate e magari anche fraintese dai tecnici dell’indagine dilettantistica. Saranno anche, forse, sfavorevolmente commentate da mio fratello Rodolfo. Ma io so che alla fine della nostra triste vicenda Rodolfo me ne ringrazierà. Purtroppo lo sdegno di mio fratello, il dolore di mia cognata, la timidezza di mia nipote Wanda hanno, secondo me, contribuito con dichiarazioni incomplete, con espressioni rese poco chiare dall’emozione e dall’impreparazione, a creare impressioni false, a determinare deviazioni e convinzioni errate.

Ma qui non si tratta di una intervista. Ho avuto il tempo necessario per allineare i miei ricordi e le mie impressioni. Potrei proiettare, è la parola, la pellicola cinematografica della drammatica annata che ha sconvolto la famiglia di Rodolfo. Ma basterà, per quel che mi si chiede, annotare i passaggi più importanti, le “sequenze” che possono avere un significato.

La prima telefonata d’allarme da parte di mia cognata Maria a casa di mio padre fu fatta verso le 9.30 di sera del giovedì 9 aprile 1953. Abito con mio padre Riccardo, con mia madre e due fratelli in via Alessandria, poco lontano dall’abitazionedi Wilma. Mio padre è l’unico tra i parenti stretti a possedere il telefono: era naturale che Maria si rivolgesse a noi per primi per aver notizie della figlia, che all’ora della cena non era rientrata in casa. Si trattava, in verità, di un fatto inconsueto. Per l’ora della cena Wilma e Wanda si trovavano per abitudine sempre a casa, e Wilma usciva da sola assai di rado. Mia cognata e sua figlia esitarono prima di confessare a Rodolfo che non sapevano dove si trovasse Wilma, per non subire un rimprovero, che data l’intransigenza di mio fratello poteva esser aspro.

Da molto tempo faceva da sfondo a questo atteggiamento di Rodolfo una situazione comune, credo, a tante altre famiglie della piccola borghesia: da una parte l’orgoglio di mio fratello d’essere a capo di una famiglia esemplare e dall’altra il desiderio, perfettamente comprensibile, di Maria, di allargare un po’ la stretta regola cui erano sottoposte le figliole per consentir loro di fare quel minimo di conoscenze necessarie per trovarsi un marito. Una situazione che aveva assunto in qualche occasione toni aspri: Rodolfo, la cui posizione economica, fra l’altro, da due o tre anni non era buona, non era stato in grado di assecondare pienamente la moglie nella sua aspirazione di presentare in qualche buon ambiente le figliole, mentre Maria cercava di vincere, anche ragionando, il rigore del marito e l’apatia delle ragazze per assicurare a queste ultime la sistemazione tradizionale.

Da tutto ciò era nato, quasi d’improvviso, il fidanzamento di Wilma con l’agente di pubblica sicurezza Angelo Giuliani. Si sa come l’incontro fra i due avvenne: in una sala da ballo, dove mia cognata aveva condotto Wanda e Wilma, e dove Giuliani, da buon meridionale, aveva messo le carte in tavola facendo a Wilma una corte tenace e parlando subito di matrimonio. Bisogna aggiungere che il fidanzamento fu accolto da Rodolfo con netta avversione. Quando Giuliani, in casa, lo chiamò “papà”, mio fratello non poté trattenere un moto di stizza.

E Wilma? Ricordo, in proposito, un episodio. La sera in cui Giuliani fu presentato a casa nostra, io, la mia fidanzata e Wilma lo accompagnammo con la mia “giardinetta” alla stazione degli autopullman in partenza per Marino, dove era di stanza. Al ritorno fermai la macchina a Porta Pia per comperare le sigarette, ma poiché in quel punto c’è divieto di sosta dovetti restare a bordo per tenere il motore acceso, e mandai a comprarle la mia fidanzata. Perciò ebbi l’occasione di restare solo con mia nipote, e le dissi: “E così, Wilma, ti sposi…” Lei ripeté: “Mi sposo…” con l’aria di dire: “Ecco che debbo fare…”

Le lettere che Wilma mandava a Potenza al fidanzato erano lette, come si sa, nella minuta, dalla sorella e dalla madre: quest’ultima si adoperava affinché Wilma si esprimesse con maggior calore.

Ritengo, in definitiva, che Wilma non fosse troppo entusiasta di Giuliani; ma lo aveva accolto per i suoi seri propositi e sono convinto, per quel che mi consta, che si comportasse con perfetta lealtà verso di lui. Giuliani, d’altra parte, innamorato com’era, sembrava non accorgersi che la relazione non era perfetta e che Rodolfo e la stessa Wanda in un primo momento, non lo gradivano. Non gliene venne il dubbio neppure il giorno in cui accadde l’episodio in seguito al quale da Marino fu trasferito prima a Civitavecchia e poi a Potenza. Giuliani aveva mostrato delle foto di Wilma ad alcuni colleghi, che avevano fatto ridendo degli apprezzamenti sull’avvenenza di Wilma; lui li interpretò nel senso che i colleghi ritenessero precario il suo ruolo di fidanzato. Ne seguì un violento pugilato, che costò a Giuliani, oltre al trasferimento, una dura punizione.

È stato necessario premettere tutto ciò per dare un’idea chiara dei reali atteggiamenti dei miei familiari nel momento in cui scoppiò la tragedia e degli orientamenti che, di giorno in giorno, allora e in seguito, dovevano prendere le nostre supposizioni.



Dunque, la sera del 9 aprile, Wilma non s’era affacciata a casa nostra. Verso le 10 fu Rodolfo stesso a ripetere la telefonata e a pregarmi, con voce che tradiva una vivissima inquietudine, di recarmi subito con la “giardinetta” a casa sua, per cominciare le ricerche. Non ci orientammo, da principio, verso Ostia, perché l’indicazione di Ostia, in un primo tempo, era stata da Wanda elencata ma non considerata con sufficiente attenzione da me e da mio fratello. Pensammo dunque che Wilma fosse stata costretta ad attardarsi o fosse stata colta da un malore passeggero sulla via del ritorno a casa. Percorremmo perciò con la macchina le vie adiacenti, esplorammo il parco Nemorense, prossimo a via Tagliamento, raggiungemmo il laboratorio e la segheria di Rodolfo, guardammo nel pozzo che si trova presso quest’ultima. A tarda notte, telefonando a casa, dove Wanda e sua madre ci aspettavano in lacrime, Wanda ci annunciò con costernazione di aver trovata nel cassetto del comò in camera dei genitori, il braccialetto, la collana e la foto di Giuliani che Wilma portava sempre con sé.

Spostammo immediatamente le nostre supposizioni sul suicidio. Poteva Wilma essersi suicidata? Non cercammo, nell’ansia del momento, di indagare le cause. Facemmo denunzia della scomparsa al commissariato, ci recammo alla questura centrale, facemmo il giro degli ospedali, percorremmo in su e in giù il lungotevere, nel caso si notassero degli assembramenti. Era quasi l’alba quando tornammo a via Tagliamento. La scena in casa del mio povero fratello era straziante: mia cognata, in ginocchio per terra, invocava la sua bambina; Wanda e Sergio, il fratello più piccolo, cercavano di consolarla.



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