mercoledì 9 gennaio 2019

IL CASO MONTESI - Introduzione




IL CASO MONTESI
un riassunto


Iniziamo a pubblicare la raccolta di tutti (o quasi) gli articoli apparsi su “Oggi” in merito a questo caso, tralasciando quelli di scarso interesse chiaramente “riempitivi”, come il servizio fotografico sulla casa in cui viveva Wilma o simili.

Ovviamente all’epoca il caso era sulla bocca di tutti e quindi non era necessario spiegarne lo svolgimento; ora non è così e quindi abbiamo deciso di farne un riassunto per una migliore comprensione.

Wilma Montesi, nata a Roma nel 1932, era una bella ragazza, molto alta, bruna e vistosa: si era fidanzata con un agente di pubblica sicurezza col quale doveva sposarsi nel dicembre 1953. Il matrimonio avrebbe comportato il suo trasferimento a Potenza, città nella quale il fidanzato era stato inviato per punizione dopo una violenta lite con alcuni colleghi.

Nel pomeriggio del 9 aprile 1953 la madre, Maria Petti, e la sorella Wanda vanno al cinema mentre Wilma rimane a casa. Uscirà più tardi, dopo le diciassette come testimoniato in seguito dalla portinaia del palazzo, e nessuno la vedrà più viva.

La ragazza non torna. La famiglia, dopo averla aspettata per cena, inizia a cercarla dappertutto e infine denuncia la scomparsa alla Polizia.

Tutta la giornata del 10 aprile passa senza notizie: la mattina dell’11 un operaio che va al lavoro trova il cadavere di Wilma sulla spiaggia di Torvaianica, località di mare a sud di Roma.

La ragazza è vestita a metà: mancano la gonna, le scarpe, le calze e il reggicalze, oltre alla borsetta. Non ha segni di violenza, non è gonfia né tumefatta. Viene portata all’Istituto di Medicina Legale di Roma; l’autopsia rivelerà che è morta per “annegamento lento”, il che fa pensare ad una caduta in acqua in stato di incoscienza; l’esame tossicologico è negativo. Inoltre (cosa che verrà sbandierata in ogni modo) la ragazza è vergine o quanto meno non ha subito violenza sessuale. Il momento della morte viene situato nella notte tra il 10 e l’11 aprile.

Il mistero è fitto. Come ha fatto Wilma a recarsi a Torvaianica, dove non c’è la stazione ferroviaria? Cosa c’è andata a fare, nel tardo pomeriggio di un giorno dell’inizio di aprile che i testimoni riferiscono freddino e piovigginoso?

Il fatto finisce ovviamente sui giornali: si presenta quindi a casa Montesi una certa professoressa Passarelli, la quale assicura di aver incontrato Wilma il giorno della scomparsa sul treno Roma – Ostia delle 17.30, e la descrive minutamente. Wilma sarebbe quindi andata nella cittadina laziale, ma a fare cosa? Qualcuno dice che la ragazza soffriva di arrossamenti, o irritazioni, ai talloni, e che le era stato consigliato di fare bagnature con l’acqua di mare; si forma così la famosa “tesi del pediluvio”.

Si ritiene quindi che Wilma, il pomeriggio del 9 aprile, abbia deciso di recarsi a Ostia a bagnarsi con l’acqua di mare, ed abbia quindi preso il treno delle 17.30; arrivata nella cittadina avrebbe cercato una spiaggia solitaria, si sarebbe tolta scarpe e calze e sarebbe entrata in acqua. Il freddo l’avrebbe fatta svenire (Wilma era negli ultimi giorni del ciclo mestruale), lei cadendo in acqua svenuta non si sarebbe dibattuta e sarebbe lentamente affogata. Le onde e le correnti l’avrebbero poi trasportata fino a Torvaianica.

Questa tesi, per quanto fantasiosa possa sembrare, viene accettata dagli inquirenti che chiudono il caso come “morte per cause naturali”; la povera ragazza viene sepolta al cimitero del Verano.

L’opinione pubblica, ovviamente, rimane contrariata da una conclusione così affrettata e poco plausibile: perché mai Wilma, che tutti descrivono come una ragazza riflessiva e posata fino alla noia, avrebbe fatto un simile colpo di testa al solo scopo di bagnarsi le gambe con l’acqua di mare? Come avrebbe fatto in meno di mezz’ora a raggiungere la stazione Ostiense da casa sua, posta nel quartiere Salario, attraversando mezza Roma? E inoltre: possibile che nessuno, a Ostia, abbia notato la bella ragazza?

I dubbi maggiori riguardano l’orario della morte, che come ricordiamo era stato stabilito nella notte tra il 10 e l’11: possibile che Wilma avesse galleggiato, viva, per un giorno e una notte? e l’assenza del reggicalze.

È noto, infatti, come all’epoca i collant non esistessero e le donne portassero quindi calze separate agganciate per mezzo di giarrettiere ad un bustino reggicalze. Per levarsi le calze Wilma non avrebbe assolutamente dovuto togliersi quest’ultimo, che oltretutto, a detta di sua madre, era chiuso con ben cinque gancetti: perché quindi la ragazza non lo indossava?

Pian piano, tuttavia, la storia di Wilma lascia le pagine dei giornali e verrebbe dimenticata, se qualche mese dopo un giornalista, Silvano Muto, non scrivesse un articolo sull’argomento. Secondo il Muto la giovane sarebbe morta durante un festino a base di alcool e droga nella tenuta di Capocotta, confinante con la spiaggia dove è stato trovato il cadavere; cita due ragazze che, a suo dire, avrebbero partecipato a feste del genere.

Le due ragazze si chiamano Adriana Concetta Bisaccia e Anna Maria Moneta-Caglio. Non potrebbero essere più diverse tra loro.

Adriana Bisaccia è una ragazza di Avellino che, dopo una giovinezza turbolenta, è approdata a Roma in cerca di una fortuna cinematografica che però non ha raggiunto, dovendosi accontentare di lavoretti come comparsa. Frequenta un ambiente che oggi chiameremmo “alternativo”, fa la modella per alcuni pittori, all’epoca viene definita “esistenzialista”. Conosce il Muto per aver lavorato per lui come segretaria; da subito si dichiara all’oscuro di tutto. Di Wilma Montesi sa soltanto quello che ha letto sui giornali, non ha partecipato a nessuna orgia o festino che dir si voglia. Alla fine viene creduta e ritorna nell’ombra.

Anna Maria Moneta-Caglio è di tutt’altro stampo. Nata da una distinta famiglia milanese, il padre notaio, il nonno Ernesto premio Nobel per la pace con una strada a lui intitolata dal Comune di Milano, Anna Maria non è particolarmente bella ma molto elegante e chic: frequenta la società elegante di Via Monte Napoleone, parla con l’erre moscia, e appena raggiunge la maggiore età se ne va a Roma per diventare un’attrice. Qui conosce Ugo Montagna, un faccendiere, diremmo adesso, nominato marchese dal re Umberto II negli ultimi convulsi giorni prima della sua fuga dall’Italia, uomo colto e affascinante che ufficialmente si occupa di compravendite immobiliari ed è direttore proprio della tenuta di Capocotta. I due diventano amanti.

Al momento dell'uscita dell'articolo Ugo ha da poco lasciato Anna Maria. La ragazza, delusa e ferita, coglie la palla al balzo e ne approfitta per vendicarsi dell'abbandono e raggiungere la notorietà tanto desiderata: con abilità si ritaglia un personaggio di ragazza fondamentalmente onesta ma traviata dalle cattive compagnie, che conosce inconfessabili segreti ma teme per la sua stessa vita.

L’articolo suscita un vespaio incredibile e dà origine allo scandalo.

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