lunedì 1 ottobre 2018

LA DAMA DEI CUORI SOLITARI






Se giorni fa un incidente automobilistico non l’avesse improvvisamente resa popolare, la signora Eugenia Cioffu avrebbe conservato per sempre nel suo cuore e in due enormi bauli il segreto del suo strano apostolato. Successe, dunque, che, trasportata all’ospedale per essere medicata, la signora Cioffu, una donna grassoccia sulla cinquantina, mormorasse tra sé e sé: “Mi dispiace per le mie cinquemila anime gemelle che, poverette, questa settimana rimarranno senza il conforto di una mia buona parola”.


Eugenia Cioffu non scherzava: ella effettivamente ha cinquemila anime gemelle e molte di più ne ha avute negli anni passati. Per la prima volta coloro di questi cinquemila innamorati che, eventualmente, leggeranno quest’articolo, per la prima volta vedranno una fotografia della loro “adorata Eugenia” e forse proveranno una delusione giacché la signora Cioffu, sempre a fin di bene, si è adattata cinquemila maschere diverse, secondo le necessità spirituali dei suoi corrispondenti.


Del resto Eugenia Cioffu il suo primo apostolato l’ha compiuto verso se stessa, riuscendo a creare una specie di “lega della solitudine”. Nella sua vita questa parola ha avuto sempre una grandissima importanza. Rimasta orfana molto giovane – suo padre era un alto funzionario dello Stato e suo nonno fu per molti anni prefetto di Cagliari – Eugenia Cioffu lasciò una ventina di anni fa la natia Sardegna per tentare la fortuna in continente.


Aveva nelle mani un mestiere, quello della ricamatrice, ma a Milano, sua prima tappa, non “incontrò” molto; vi si trattenne perciò appena un paio d’anni e quindi si trasferì a Napoli, in una casetta di due stanze all’ultimo piano di via Speranzella, una rumorosa e popolare stradetta della Napoli spagnola. Per anni e anni Eugenia Cioffu fu l’unica spettatrice dello sfiorire della sua giovinezza. Più che una prigione, la solitudine rappresentava per Eugenia, donna dal temperamento vulcanico, una tomba.


I “signori” e i commercianti che le commissionavano i lavori di ricamo erano gente sbrigativa, la intrattenevano solo il tempo necessario per darle gli ordinativi e per farle qualche raccomandazione; né d’altra parte Eugenia, donna colta e romantica, poteva accontentarsi delle superficiali chiacchierate delle comari e comarelle di via Speranzella.


Cercò conforto nella letteratura: iniziò infatti la stesura di un libro intitolato Diario di una donna originale, ove giorno per giorno annotava le sue osservazioni: ma smise tutto dopo un anno: l’idea che difficilmente avrebbe trovato un editore e che quegli scritti sarebbero stati condannati a finire in un cassetto, non le andava giù.


Ma ecco che, sei anni fa, Eugenia Cioffu trovò la soluzione. Le capitò fra le mani la pagina con la Piccola Posta di un giornale. Per caso il suo sguardo si posò su di un “appello” che diceva: “La mia casetta è solitaria come la mia anima, eremo inaccessibile alla malvagità umana: è là che medito sul mio tetro destino, un fato spietato. Desidero un fantasma, ovvero una gentile lettrice per intraprendere una corrispondenza spirituale”.


Senza pensarci due volte, Eugenia Cioffu prese carta e penna e chiese al giornale di essere messa in comunicazione col “fantasma”, che risultò poi essere un geometra italiano emigrato nel Kenya. “Quel fantasma che lei cerca, o anima scossa dall’avverso destino, sono io, o signore”, comunicò Eugenia. La corrispondenza divenne fittissima. Eugenia mandò una poesia: il geometra rispose con un poema in centoventi canti, a rima baciata.


Finalmente, dopo aver trascorso i due terzi del cammino di una vita intera, per la prima volta Eugenia non si sentiva sola. Ma ora che aveva scoperto il segreto per vincere la solitudine, ella desiderava farsi tanti amici, tanti compagni di sventura e desiderava confortarsi con essi. Il geometra del Kenya non le bastava. Per la verità, essendo ancora una principiante, Eugenia si sentì un poco in difetto col geometra rispondendo a un secondo appello. Scrisse perciò al geometra che non poteva sposarlo soprattutto perché non aveva il coraggio di abbandonare la sua Napoli.


Acquistò un fascio di giornali con la rubrica della Piccola Posta e, nel corso di una sola notte, rispose a ventiquattro appelli. Dopo un paio di giorni le giunsero le risposte. Erano lettere infiammate di gente che le giurava di aver finalmente trovata un’anima gemella. La signora Cioffu calcola di aver scritto e spedito nel primo anno della sua “missione” trenta lettere il giorno e di averne ricevute altrettante.


Continuò ad acquistare giornali e a rispondere a lettere. Dopo sei mesi, quando cioè aveva scritto già duemila lettere, pensò di selezionare le amicizie epistolari. Naturalmente Eugenia si fingeva il personaggio che il cuore solitario desiderava: si diceva ventenne per il venticinquenne, trentenne per il trentacinquenne, appassionata di storia militare per il colonnello in pensione, amante delle arti figurative per il giovane pittore sfortunato.


Oltre  a tutto, questa sua curiosa attività le diede modo, e tuttora le da’ modo, di compiere molte opere di bene. Un giovane leccese, volontario nella Legione Straniera, in seguito alla corrispondenza con Eugenia che in questo caso si finse diciottenne, non rinnovò la ferma dei cinque anni e ritornò in Italia. Il giovanotto s’inerpicò fino al quinto piano di via Speranzella, ma qui i coinquilini della dama, opportunamente istruiti, gli dissero che il giorno precedente la diciottenne Eugenia si era trasferita con i genitori in una città del nord. L’ex legionario rinunciò al suo sogno d’amore, ma se aveva provato una delusione, era però stato probabilmente sottratto alla morte nelle risaie indo-cinesi.


Altrettanto patetica la storia di un medico torinese che aveva deciso di suicidarsi in seguito al suo fallimento negli studi sul cancro. Eugenia lo salvò per telegramma: “Tua vita est necessaria a tanti poveri infermi stop. Altri ammalati anche se non di cancro possono essere da te curati stop. Confida nel mio amore Eugenia”

Il medico ricevette il telegramma proprio quando stava per farsi saltare le cervella: prese il rapido per Napoli e si presentò in via Speranzella. Eugenia, che fino a quel momento era sempre riuscita, con mille scuse e mille sotterfugi, a non incontrarsi con i suoi corrispondenti, si sentì venir meno quando se lo vide davanti. Era un ragazzo poco più che trentenne e non ebbe il coraggio di dirgli: “Eugenia sono io, questa signora con gli occhiali, anzianotta e trasandata”. Disse: “Io sono l’affittacamere, Eugenia è partita per Torino, andava proprio per voi”.


In tutto finora Eugenia ha scritto sedicimila lettere e altrettante ne ha ricevute. Centoventi persone l’hanno richiesta ufficialmente in matrimonio; attualmente è in corrispondenza con cinquemila persone che giurano di amarla.


Un’automobile, guidata da mano incauta, ha svelato i segreti della “dama dei cuori solitari”. Migliaia dei suoi platonici innamorati hanno finalmente saputo con chi in realtà corrispondevano. Forse avranno avuto una delusione, ma tutti dovranno esserle egualmente grati perché ha saputo essere loro spiritualmente vicina in momenti difficili.



Articolo di Vittorio Paliotti da “Oggi” n. 40 del 4 ottobre 1956

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