Se giorni fa un incidente automobilistico non l’avesse
improvvisamente resa popolare, la signora Eugenia Cioffu avrebbe conservato per
sempre nel suo cuore e in due enormi bauli il segreto del suo strano
apostolato. Successe, dunque, che, trasportata all’ospedale per essere
medicata, la signora Cioffu, una donna grassoccia sulla cinquantina, mormorasse
tra sé e sé: “Mi dispiace per le mie cinquemila anime gemelle che, poverette,
questa settimana rimarranno senza il conforto di una mia buona parola”.
Eugenia Cioffu non scherzava: ella effettivamente ha
cinquemila anime gemelle e molte di più ne ha avute negli anni passati. Per la
prima volta coloro di questi cinquemila innamorati che, eventualmente,
leggeranno quest’articolo, per la prima volta vedranno una fotografia della
loro “adorata Eugenia” e forse proveranno una delusione giacché la signora
Cioffu, sempre a fin di bene, si è adattata cinquemila maschere diverse,
secondo le necessità spirituali dei suoi corrispondenti.
Del resto Eugenia Cioffu il suo primo apostolato l’ha
compiuto verso se stessa, riuscendo a creare una specie di “lega della
solitudine”. Nella sua vita questa parola ha avuto sempre una grandissima
importanza. Rimasta orfana molto giovane – suo padre era un alto funzionario
dello Stato e suo nonno fu per molti anni prefetto di Cagliari – Eugenia Cioffu
lasciò una ventina di anni fa la natia Sardegna per tentare la fortuna in
continente.
Aveva nelle mani un mestiere, quello della ricamatrice,
ma a Milano, sua prima tappa, non “incontrò” molto; vi si trattenne perciò
appena un paio d’anni e quindi si trasferì a Napoli, in una casetta di due stanze
all’ultimo piano di via Speranzella, una rumorosa e popolare stradetta della
Napoli spagnola. Per anni e anni Eugenia Cioffu fu l’unica spettatrice dello
sfiorire della sua giovinezza. Più che una prigione, la solitudine
rappresentava per Eugenia, donna dal temperamento vulcanico, una tomba.
I “signori” e i commercianti che le commissionavano i
lavori di ricamo erano gente sbrigativa, la intrattenevano solo il tempo
necessario per darle gli ordinativi e per farle qualche raccomandazione; né
d’altra parte Eugenia, donna colta e romantica, poteva accontentarsi delle
superficiali chiacchierate delle comari e comarelle di via Speranzella.
Cercò conforto nella letteratura: iniziò infatti la
stesura di un libro intitolato Diario di una donna originale, ove giorno per
giorno annotava le sue osservazioni: ma smise tutto dopo un anno: l’idea che
difficilmente avrebbe trovato un editore e che quegli scritti sarebbero stati
condannati a finire in un cassetto, non le andava giù.
Ma ecco che, sei anni fa, Eugenia Cioffu trovò la
soluzione. Le capitò fra le mani la pagina con la Piccola Posta di un giornale.
Per caso il suo sguardo si posò su di un “appello” che diceva: “La mia casetta
è solitaria come la mia anima, eremo inaccessibile alla malvagità umana: è là
che medito sul mio tetro destino, un fato spietato. Desidero un fantasma,
ovvero una gentile lettrice per intraprendere una corrispondenza spirituale”.
Senza pensarci due volte, Eugenia Cioffu prese carta e
penna e chiese al giornale di essere messa in comunicazione col “fantasma”, che
risultò poi essere un geometra italiano emigrato nel Kenya. “Quel fantasma che
lei cerca, o anima scossa dall’avverso destino, sono io, o signore”, comunicò
Eugenia. La corrispondenza divenne fittissima. Eugenia mandò una poesia: il
geometra rispose con un poema in centoventi canti, a rima baciata.
Finalmente, dopo aver trascorso i due terzi del cammino
di una vita intera, per la prima volta Eugenia non si sentiva sola. Ma ora che
aveva scoperto il segreto per vincere la solitudine, ella desiderava farsi
tanti amici, tanti compagni di sventura e desiderava confortarsi con essi. Il
geometra del Kenya non le bastava. Per la verità, essendo ancora una
principiante, Eugenia si sentì un poco in difetto col geometra rispondendo a un
secondo appello. Scrisse perciò al geometra che non poteva sposarlo soprattutto
perché non aveva il coraggio di abbandonare la sua Napoli.
Acquistò un fascio di giornali con la rubrica della
Piccola Posta e, nel corso di una sola notte, rispose a ventiquattro appelli.
Dopo un paio di giorni le giunsero le risposte. Erano lettere infiammate di
gente che le giurava di aver finalmente trovata un’anima gemella. La signora
Cioffu calcola di aver scritto e spedito nel primo anno della sua “missione”
trenta lettere il giorno e di averne ricevute altrettante.
Continuò ad acquistare giornali e a rispondere a lettere.
Dopo sei mesi, quando cioè aveva scritto già duemila lettere, pensò di selezionare le amicizie epistolari. Naturalmente Eugenia si fingeva il
personaggio che il cuore solitario desiderava: si diceva ventenne per il
venticinquenne, trentenne per il trentacinquenne, appassionata di storia
militare per il colonnello in pensione, amante delle arti figurative per il
giovane pittore sfortunato.
Oltre a tutto,
questa sua curiosa attività le diede modo, e tuttora le da’ modo, di compiere
molte opere di bene. Un giovane leccese, volontario nella Legione Straniera, in
seguito alla corrispondenza con Eugenia che in questo caso si finse
diciottenne, non rinnovò la ferma dei cinque anni e ritornò in Italia. Il
giovanotto s’inerpicò fino al quinto piano di via Speranzella, ma qui i
coinquilini della dama, opportunamente istruiti, gli dissero che il giorno
precedente la diciottenne Eugenia si era trasferita con i genitori in una città
del nord. L’ex legionario rinunciò al suo sogno d’amore, ma se aveva provato
una delusione, era però stato probabilmente sottratto alla morte nelle risaie
indo-cinesi.
Altrettanto patetica la storia di un medico torinese che
aveva deciso di suicidarsi in seguito al suo fallimento negli studi sul cancro.
Eugenia lo salvò per telegramma: “Tua vita est necessaria a tanti poveri
infermi stop. Altri ammalati anche se non di cancro possono essere da te curati
stop. Confida nel mio amore Eugenia”.
Il medico ricevette il telegramma proprio
quando stava per farsi saltare le cervella: prese il rapido per Napoli e si
presentò in via Speranzella. Eugenia, che fino a quel momento era sempre
riuscita, con mille scuse e mille sotterfugi, a non incontrarsi con i suoi
corrispondenti, si sentì venir meno quando se lo vide davanti. Era un ragazzo
poco più che trentenne e non ebbe il coraggio di dirgli: “Eugenia sono io,
questa signora con gli occhiali, anzianotta e trasandata”. Disse: “Io sono
l’affittacamere, Eugenia è partita per Torino, andava proprio per voi”.
In tutto finora Eugenia ha scritto sedicimila lettere e
altrettante ne ha ricevute. Centoventi persone l’hanno richiesta ufficialmente
in matrimonio; attualmente è in corrispondenza con cinquemila persone che
giurano di amarla.
Un’automobile, guidata da mano incauta, ha svelato i
segreti della “dama dei cuori solitari”. Migliaia dei suoi platonici innamorati
hanno finalmente saputo con chi in realtà corrispondevano. Forse avranno avuto
una delusione, ma tutti dovranno esserle egualmente grati perché ha saputo
essere loro spiritualmente vicina in momenti difficili.
Articolo di Vittorio Paliotti da “Oggi” n. 40 del 4
ottobre 1956
Nessun commento:
Posta un commento