All’inizio del nuovo anno Mohamed Sisbane decise di
venire a svernare in Italia. Era stufo di Parigi e neve, freddo e gelo gli
garbavano poco, abituato com’era – lui algerino di antica razza – al sole
cocente della terra africana. Tra le regioni italiane scelse la Liguria e
precisamente Genova, da dove poteva scorrazzare lungo le meravigliose Riviere
di ponente e di levante. Ne parlò alla moglie, una bellissima danzatrice
algerina come lui, rimasta disoccupata alla scadenza di un contratto che l’aveva
impegnata per alcuni mesi in un cabaret di Montmartre, e manco a dirlo trovò la
compagna pienamente d’accordo. Così, ai primi di gennaio, i due a bordo di una
lussuosa macchina giunsero a Genova e presero alloggio in una pensione di via
Pacinotti. Se l’automobile era di grossa cilindrata, in compenso il portafoglio
di Sisbane era tutt’altro che ben fornito.
Ma per Mohamed e la consorte questo particolare era
assolutamente irrilevante perché l’uomo aveva a sua disposizione per far
quattrini un mezzo del tutto originale e di sicuro effetto. In una parola, ad
assicurare il fabbisogno quotidiano per lui e la moglie bastavano i suoi occhi,
occhi neri come il carbone, lucenti ed irrequieti, i quali avevano lo
straordinario potere di abbagliare qualsiasi persona, fiaccandone la volontà e
l’attenzione e rendendola docile strumento nelle sue mani. C’erano da risolvere
alcune formalità d’ordine tattico, ma con un po’ d’inventiva e di buona volontà
non sarebbe stato difficile creare le premesse dell’operazione.
Dopo un paio di giorni spesi in un giro d’orientamento
per la città, la mattina dell’11 gennaio la coppia entrò in un’oreficeria di
via Teglia. Dietro il banco c’era il proprietario Francesco Noferi: seduta in
un angolo, la madre. Via Teglia è alla periferia di Genova, in un quartiere
industriale di ponente; il negozio quindi era al riparo dal traffico
ininterrotto del centro cittadino e poteva essere visitato senza la seccatura
del viavai dei clienti, cosa che indubbiamente avrebbe disturbato il piano dei due
coniugi.
Al Noferi l’algerino chiese di poter vedere alcuni oggetti d’oro,
dovendo acquistare un paio di anelli e una catenina. A giudicare da com’erano
vestiti e da come si comportavano, Mohamed e la donna sembravano due facoltosi
stranieri in viaggio di piacere: lui piccolo, olivastro in volto, di circa
venticinque anni; lei minore di qualche anno, bruna, ben fatta, dai gesti
misurati e dal tono della voce smorzato e dimesso.
L’orefice non ebbe alcuna difficoltà a prendere dalle
vetrine un’intera collezione di astucci e a mostrare un vasto campionario di
preziosi. I due osservarono a lungo anelli e catenine, ne provarono alcuni,
pronti e disinvolti a passare dall’esemplare di poche pretese a quello più
elaborato e costoso, senza per altro dichiararsi contenti e soddisfatti.
L’orefice andò in cerca di altri campioni, badando a presentare con le parole
più convincenti la sua merce: i risultati però furono egualmente insoddisfacenti.
Nulla c’era che corrispondesse alle pretese della coppia esigentissima.
L’uomo,
poi, aveva un modo di comportarsi assai strano: guardava sì gli oggetti, ma
guardava di più e con maggiore intensità l’orefice e sua madre. Le pupille
erano accese e penetranti e si faceva fatica a sottrarsi a quegli sguardi che,
nello stesso tempo, affascinavano e stordivano. A poco a poco, il Noferi si
accorse che tutto intorno si annebbiava, diventava indistinto: le mani
cominciarono a far movimenti disordinati; l’oro dei monili diventò opaco e la
coppia sembrò improvvisamente svanire nella quieta confusione dell’ambiente.
Identica impressione provava intanto la madre, la quale meno del figlio sentiva
di poter resistere al terribile sguardo dello straniero.
Quando finalmente – era trascorso un buon quarto d’ora –
madre e figlio lentamente uscirono dal loro straordinario intorpidimento, il
giovane olivastro e la sua compagna non c’erano più e non c’erano più, nemmeno,
molti degli anelli e delle catenine, che un momento prima erano stati da essi
negletti e disprezzati.
Il funzionario di polizia, che ricevette la denuncia,
dapprima stentò a prestar fede al racconto dell’orefice. “Allora lei crede di
essere stato ipnotizzato?” gli chiese con accento incredulo. E avutane la conferma,
gli fece stendere la firma di rito, assicurandogli pronte ed esaurienti
indagini. Nella sua lunga carriera, si era scontrato con tanti tipi, ma con un
ipnotizzatore era la prima volta che aveva a che fare. Le perplessità del
funzionario, però, durarono ben poco perché di lì a qualche giorno ecco piovere
altre denunzie da parte di persone che avevano avuto la cattiva sorte di
imbattersi nell’algerino dallo sguardo di fuoco.
Cambiavano le circostanze, la tecnica era tuttavia sempre
la stessa: tutti affermavano di essere stati vittime di un misterioso fluido
che si sprigionava dagli occhi dello straniero, fluido al quale era impossibile
resistere.
E, difatti, non vi resistette la cassiera dell’albergo
Aquila Reale, davanti alla quale Mohamed
e la moglie si presentarono il 26 gennaio successivo. “Abbiamo bisogno di
valuta italiana”, lui disse, consegnando per il cambio un biglietto da cento
dollari. La cassiera li osservò e non seppe dire di no a quei due giovani che
parevano tanto discreti ed educati. Prese in mano il biglietto, controllò che
non fosse falso, ritirò dalla cassa un blocchetto di carte da mille, da cinque
e da diecimila lire, e poi cominciò a contare. Un’operazione che aveva fatto
con esattezza e disinvoltura centinaia di volte e che ora sfuggiva a poco a
poco alla sua attenzione.
Alzando gli occhi sullo straniero, si sentì, infatti,
come incantata da qualcosa di cui non riusciva a rendersi conto. Provò a
riabbassare lo sguardo sul banco, ma quasi ubbidendo a una forza superiore
ritornò a fissare gli occhi dell’uomo, il quale stava ritto e immobile come una
statua. Le mani, intanto, per proprio conto, continuavano a contare un
biglietto sopra l’altro: le sessanta mila lire italiane, corrispondenti ai
cento dollari, erano già belle e allineate e l’operazione proseguiva.
Centomila, duecentomila, duecentoventimila: tutti i soldi disponibili in un
baleno erano passati dalle mani della cassiera a quelle dello straniero, il
quale sotto lo sguardo allucinato della vittima si allontanò in punta di piedi,
seguito dalla moglie. La cassiera se ne stette in quello stato per alcuni
minuti, poi, quasi risvegliandosi da un sonno, si trovò sola e mezzo stordita
col biglietto dei cento dollari in mano.
Le vacanze in Italia dell’intraprendente algerino potevano
proseguire senza preoccupazioni di sorta: anche questa volta i quattrini erano
stati recuperati senza eccessive difficoltà.
C’era la polizia che poteva dare fastidi per cui era
meglio cambiare aria senza comunque rinunziare al piacevole tepore della
Riviera. I due decisero di lasciare Genova e d’avviarsi verso sud, facendo
tappa a Chiavari in un albergo nelle vicinanze della stazione ferroviaria.
Prima di partire la giovane signora si accorse che aveva bisogno di tante
cosucce – capi di biancheria, oggetti da toilette e roba del genere . cui non
era conveniente rinunciare in vista del nuovo viaggio. Lo disse al marito, il
quale fu ben lieto di fare una capatina ancora in via Teglia e proprio in una
merceria che aveva notato durante il sopralluogo all’oreficeria del signor
Noferi. Questa volta una scelta accurata, una rapida manovra per far finta di
pagare e, quindi, secondo il sistema già ben collaudato, la fuga dopo aver
ipnotizzato il proprietario.
Con le valige ben fornite, i due la mattina del 30
gennaio presero la via di Chiavari. Il serbatoio della macchina era quasi
vuoto, dieci litri di benzina sarebbero stati più che sufficienti per giungere
a destinazione ma Mohamed volle fare il pieno: tanto per quello che il
rifornimento gli costava, non valeva la pena di fare parecchie soste.
Ed ecco la macchina fermarsi davanti a un distributore,
nei pressi di Quinto. Quando fu il momento di pagare, Mohamed porse un
biglietto da diecimila lire e chiese un fiammifero per la sigaretta. L’uomo del
distributore gentilmente si avvicinò, fece per accendere, ma nel guardare in
faccia lo straniero, restò incantato e quasi fuori di sé. Alla polizia disse
poi che, come un automa, aveva preso la borsa, versando nelle mani dello
sconosciuto tutti i soldi che c’erano, circa ventimila lire.
In questi mesi i funzionari della questura di Genova non
hanno dormito: hanno fatto attente ricerche nella zona e hanno individuato i
due eccezionali rapinatori, ricostruendone i movimenti fin dove è stato
possibile seguirne le tracce. Seppero così che imprese analoghe erano state
compiute ad Ancona e a Ravenna, secondo un itinerario che si perdeva al
confine.
Interessate della cosa le questure straniere, proprio in questi giorni
è giunta notizia alla questura di Genova che la coppia era stata sorpresa a
Francoforte con le mani nel sacco e arrestata. Questa volta sembra davvero che
le vacanze di Mohamed Sisbane e della moglie siano finite nel modo più volgare
e meno romantico dei modi: in carcere. Quando i due compariranno in tribunale,
i giudici si troveranno davanti a un’antologia sorprendente di fatti criminosi
e dovranno risolvere un caso giudiziario senza dubbio singolare. L’ipnotismo,
infatti, non è previsto come specifica circostanza aggravante e, con ogni
probabilità, il tribunale per classificare il reato come rapina (e non come
semplice furto) dovrà ricorrere a quell’articolo del codice di procedura penale
che, più genericamente, considera quella specie di violenza consistente nel
porre qualcuno “in stato di incapacità di volere e di agire”.
Articolo di Alfredo Ferruzza da "Oggi" n. 20
del 17 maggio 1956.
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