lunedì 1 ottobre 2018

IL ROBINSON TEDESCO






C’è un uomo in Germania che non sa chi sia stato Hitler e che non ha mai sentito nominare Stalin: si chiama Engelbert Lehnert, ha sessantasette anni ed è saltato fuori – è proprio il caso di dirlo – nelle scorse settimane, durante il grande freddo, quando il gelo atroce l’ha costretto a uscire dagli immensi boschi della Westfalia nei quali aveva vissuto per oltre trentotto anni. Da quando cioè, alla fine del 1917, sarebbe dovuto andare sotto le armi e lui non ne voleva sapere.


Negli ultimi giorni di febbraio, un contadino di Gross-Reken mandava a chiamare con urgenza il medico condotto del vicino villaggio di Lembeck perché “un uomo si è bruciato in casa nostra”. Quando il medico, dopo un penoso viaggio nella neve altissima, giunse sul posto, un essere umano si stava rotolando nella neve urlando che voleva tornare nei boschi. La schiena dello sventurato era tutta una terribile piaga per via di numerose ustioni di terzo grado. Con l’aiuto di due robusti contadini l’uomo fu trasportato in una casa, tenuto a forza su un letto e sottoposto al trattamento del caso: un’iniezione di morfina per calmare i dolori e un’abbondante spalmatura di unguento sulle bruciature. A poco a poco l’uomo si calmò, poi cadde in una pesante sonnolenza, e il medico, tirato fuori di tasca il ricettario, volle preparare un ordine di ricovero immediato all’ospedale. 

Per prima cosa, naturalmente, chiese come si chiamava l’infortunato e i contadini si strinsero nelle spalle: “E’ il nero Engelbert”. Il dottore li guardò incuriosito. “Nero”, in Germania, ha anche il carattere di clandestino, tutto ciò che non è perfettamente consono alle leggi è definito dai tedeschi schwarz (nero). Ora nessuno dei contadini sapeva come si chiamasse effettivamente il poveraccio, sapevano solo che quell’uomo era appunto der schwarze Engelbert, l’uomo dei boschi. 

Il giovane medico, tuttavia, non ne aveva mai sentito parlare, e sul proprio ordine di ricovero non poteva certo scrivere “Il nero Engelbert”. E dopo aver invano frugato le numerose tasche del poveraccio, che indossava sette camicie, cinque giacche, quattro paia di pantaloni e otto mutande, naturalmente in condizioni pietose, decise di avvertire la polizia di Dorsten, cioè l’unico agente di polizia della località, che vi presta servizio da una trentina d’anni. Questi, quando udì il racconto del medico, sbarrò gli occhi per la sorpresa: perché aveva udito, sì, parlare dello schwarze Engelbert più d’una volta, ma non lo aveva mai visto, anzi aveva sempre creduto che si trattasse di una superstiziosa leggenda degli abitanti della zona. Così, quando il medico ebbe finito di raccontargli tutti i particolari, il Polizeiobermeister Riedemann non perse tempo a correre alla cascina di Gross-Reken per gli accertamenti del caso.


Lo strano tipo, sporco e barbuto come può esserlo solo un uomo che da anni non conosce sapone e pettine, accolse con evidente malumore il rappresentante della legge. Disse di chiamarsi Engelbert Lehnert, di avere sessantasette anni e di abitare nel bosco. Documenti? Non ne aveva. E dopo aver fatto quest’ultima, per un tedesco, sensazionale dichiarazione, si chiuse nel più assoluto mutismo, interrompendolo solo ogni tanto per ripetere in dialetto che voleva tornare nel bosco. 

L’agente Riedemann, invece, era perfettamente d’accordo col medico che il disgraziato dovesse essere portato all’ospedale di San Michele nella vicina cittadina di Lembeck. Ma a questo punto sorgeva la prima difficoltà legale perché per essere ricoverati in un ospedale occorre avere un nome e un cognome provati da documenti personali. Lo sventurato, oltretutto, era in preda ad un’altissima febbre che lo faceva delirare. Gridava ogni tanto: “Via dagli uomini! Voglio tornare nel bosco!” E così l’agente Riedemann fu costretto a condurre un’inchiesta a fondo.


Il nero Engelbert era comparso all’improvviso la sera prima a Gross-Reken e si era infilato in una capanna dove le contadine facevano il bucato. Si era sdraiato sulla grossa stufa e si era addormentato. Probabilmente accadde che il vento abbia ravvivato le fiamme sul punto di spegnersi, questo non è bene accertato: ma rimane il fatto che all’alba del giorno dopo una contadina, recatasi nella capanna per lavare i panni, trovò quello strano individuo svenuto sulla stufa e con le carni della schiena terribilmente ustionate. Lo riconobbe subito, anche se non lo aveva mai visto: quello era il nero Engelbert, ne aveva sempre sentito parlare da quando era bambina, e come lei tutti i contadini non solo di Gross-Reken, ma anche dei villaggi di Leiden, Velen e Hoxfeld, che sorgono ai margini del grande bosco.


Molti degli abitanti della zona lo conoscevano di vista, anche se non avevano mai scambiato una parola con lui. Se al mattino trovavano in mezzo ai campi un mucchio di barbabietole da zucchero diligentemente strappate dal suolo, se una massaia, alzandosi, si accorgeva che qualcuno le aveva spaccata la legna o spazzato il cortile, tutti sapevano che era venuto il nero Engelbert. E per una consuetudine che ormai datava da tempi lontani, ognuno si preparava automaticamente a pagare in natura il misterioso personaggio, lasciando bene in vista nel campo o nel cortile un indumento usato o un po’ di cibo. Con il favore delle tenebre, il “Robinson dei boschi” come ora lo chiama la stampa germanica, si avvicinava cautamente alle case dei contadini, ritirava il “compenso” e si rifugiava nuovamente nel bosco. Molti anni or sono, gli abitanti della zona si erano dati da fare – per semplice curiosità – per scoprire dove si celasse la tana di quel misterioso individuo. Ma nessuno era riuscito a rintracciarla e un po’ alla volta tutti si erano abituati alla misantropia dello sconosciuto e ad accettarne il modo di vivere.


Con il nome dell’ustionato e queste informazioni, l’agente Riedemann non tardò a scoprire proprio a Dorsten un fratello di Engelbert, il settantenne Alois Lehnert. Questi disse che non lo vedeva da quasi quarant’anni, da quando, nel 1917, aveva preso la via dei boschi. Perché? Engelbert, allora, era innamorato di una ragazza di Heiden, che ora è nonna di una numerosa schiera di nipoti. Benché nell’età giusta per fare il soldato, Engelbert non era stato chiamato alle armi perché era l’ultimo di sei fratelli, tutti in guerra, ed era stato lasciato a casa per accudire ai lavori dei campi. L’indeciso andamento delle ostilità e le gravissime perdite subite sui campi di battaglia, però, avevano costretto il governo imperiale a rivedere tutte le esenzioni militari e anche Engelbert si era visto arrivare la cartolina-precetto

Forse per il timore che se egli fosse partito per la guerra qualcuno gli avrebbe rubata la ragazza, forse molto più semplicemente per paura di lasciarci la pelle o forse anche perché il destino ha voluto che egli fosse il primo obiettore di coscienza del popolo germanico, Engelbert Lehnert, invece di raggiungere il comando del distretto, prese la via dei boschi. Da allora sono trascorso quasi trentanove anni, durante i quali il disertore non ha più avuto che indiretti contatti con il genere umano e nessuno con le autorità costituite.


L’agente Riedemann ha subito appurato che il reato della lontana diserzione era ormai prescritto. E poiché, negli otto lustri successivi, nessuna autorità si era mai occupata di Engelbert Lehnert, dal punto di vista della polizia il “Robinson dei boschi” non aveva nulla da temere. Così, accertata definitivamente la sua identità in base alla testimonianza del fratello, egli ha potuto essere ricoverato nell’ospedale di Lembeck: per la verità hanno dovuto portarcelo a forza, perché il nero Engelbert non ne voleva sapere.


In un primo tempo medici e infermieri avevano scosso il capo, quasi per dire che lo strano ospite non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere alle terribili scottature. Per quattro giorni il paziente obbligato fu in preda a fortissima febbre. Poi cominciò a riprendersi. Il suo caso, nel frattempo, aveva interessato tutta la Germania e la stampa aveva cominciato a seguirlo con curiosità. Così si venne a sapere che Engelbert non aveva mai sentito nominare Stalin, che non aveva mai avuto sentore né di Hitler né del nazismo, che non sapeva neppure che ci fosse stata una seconda guerra mondiale: e che non aveva nessuna voglia di essere messo al corrente di quanto fosse avvenuto nel mondo, da quando egli si era staccato dal genere umano per vivere come un animale.


Del resto egli non risponde che a monosillabi e non è per niente in vena di confidenze. I medici dicono che solo la durissima esistenza condotta per tanti anni ha permesso al loro paziente di superare la crisi. “Engelbert ha un fisico di eccezionale resistenza”, dicono. E si domandano cosa farà quando sarà risanato.

Il nero Engelbert, che ha chiesto e ottenuto che la sua camera non fosse riscaldata, non fa che guardare fuori dalla finestra in direzione dei boschi, dove la neve comincia a sciogliersi e la profonda nostalgia che è nel suo sguardo lascia chiaramente intendere quali siano i suoi programmi. Il borgomastro di Dorsten ha dichiarato che, appena ristabilito, egli avrà un posto assicurato in un ricovero per i vecchi, a spese del comune. Ma è convinzione generale che Engelbert, non appena gli sarà fisicamente possibile, ritornerà nel suo introvabile nascondiglio nei boschi della Westfalia.



Articolo di Felice Bellotti da “Oggi” n. 12 del 22/3/1956

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