lunedì 1 ottobre 2018

LA DONNA-UOMO DI ALESSANDRIA







Si trova in questo momento nelle prigioni di Alessandria, sotto l'accusa di aver estorto del danaro ad una signora di Castellazzo Bormida, una certa Maria Alice Bertolotti. La faccenda sarebbe piuttosto banale se la protagonista della vicenda, cioè la Bertolotti, non portasse i pantaloni, non sostenesse di essere un uomo e non avesse dato in ismanie quando il giudice istruttore che la stava interrogando le disse, in un momento d'impazienza: "La smetta di fare commedie e si metta una sottana come tutte le altre donne". In attesa che la perizia medica definisca la strana posizione della detenuta e che dall'istruttoria risulti o meno la sua colpevolezza, si può far conto che Maria Alice appartenga al sesso femminile.

La donna cui Maria Alice Bertolotti avrebbe estorto del danaro è una vedova di 49 anni che indicheremo con le iniziali R.S., dimostra qualche anno di più, veste di nero ed è ormai del tutto grigia di capelli. Quando, qualche anno fa, la buonanima di suo marito la lasciò sola, ella si trovò in possesso  di una piccola eredità che, in un paese senza tentazioni come Castellazzo Bormida, le avrebbe permesso di vivere senza preoccupazioni fino al termine dei suoi giorni. 

Ma l'amore entrò nella sua casa. 

Ne fu causa accidentale una trascurabile escoriazione alla mano sinistra che si era prodotta durante il periodo della trebbiatura: quel giorno le si presentò, a bordo di un "guzzino", un signore con gli occhiali che, dopo aver mostrato un'ingiustificata apprensione sulle sue condizioni di salute, cercò di spiegarle quanto meglio sarebbe stato se ella avesse avuto alle sue spalle la garanzia di una assicurazione, e finì il suo discorso col proporle di garantirsi, per il futuro, con una polizza. La vedova era, prima di tutto, una contadina: così, per principio, si rifiutò di firmare. Ma quando, a qualche settimana di distanza, l'assicuratore si fermò nuovamente davanti all'uscio della sua casa, ella lo accolse con insolita premura e scese in cantina in cerca di una bottiglia da sturare in suo onore.

Da quel brindisi nacque una simpatia, così almeno credeva la vedova, e in seguito, sempre nella sua immaginazione, un fidanzamento. La gente di Castellazzo cominciò a sorridere. "Ormai", dicevano, "ha perduto la testa". Se avessero saputo che, oltre alla testa, la donna stava perdendo il suo patrimonio, insensibilmente, sotto forma di piccoli prestiti al suo "fidanzato" assicuratore, avrebbero riso di più. Con tutto questo la signora R.S. era felice. Tra lei e quello che ormai considerava l'uomo del suo cuore non erano corsi rapporti meno che corretti: anche ora ella sostiene, e nessuno ne dubita, di non avere scambiato con lui nemmeno un bacio

Il suo "fidanzato" era quasi un bell'uomo e anche, come si dice, un "tipo signorile". Un giorno dello scorso marzo il "fidanzato" mancò all'appuntamento. Si disse che il fidanzamento fosse stato troncato; poi si seppe che l'assicuratore era in prigione, ma questa notizia scomparve di fronte ad un'altra più straordinaria: l'assicuratore era una donna.

Quando la signora R.S. venne invitata in questura il suo stupore fu duplice: non soltanto si metteva in dubbio il sesso del suo "fidanzato", ma l'assicuratore si trovava in prigione proprio per colpa sua, senza che lei avesse mai minimamente pensato a denunciarlo, sotto l'accusa d'averla raggirata estorcendole quel poco denaro di cui disponeva. A queste notizie la vedova si ribellò: disse che non poteva credere a quanto le si diceva, parlò di una congiura ordita ai suoi danni e il risultato fu che la credettero pazza.

Che cosa dicevano i rapporti della questura?

Maria Alice Bertolotti, settima figlia di una modesta famiglia, nasce a Suzzara (Mantova) quarantun anni prima. Per la sua passione ai giochi mascolini i compagni di scuola la chiamano "Yotatanka" dal nome di un personaggio salgariano. A vent'anni lascia il paese e, con il paese, anche le sottane. 

Sotto il nome di Mario Bertolotti la ragazza entra a far parte di quel mondo nomade e pittoresco proprio dei baracconi da fiera e si guadagna da vivere facendo l'acrobata motociclista, suscitando il brivido negli spettatori di uno di quei cosiddetti "muri" o "pozzi della morte". Tranne un breve periodo in cui, lasciata la motocicletta, è scritturata come cavallerizzo in un circo, ogni sera, per dodici anni, casacca rossa, casco e calzoni bianchi, stivaloni neri, rischia la vita, non solo per il gusto di vestirsi da uomo ma per dare la prova, forse più a se stessa che agli altri, del suo coraggio.

Nel periodo della guerra Alice non viene, naturalmente, chiamata alle armi, ma il suo aspetto maschile attira l'attenzione delle pattuglie tedesche che percorrono le strade di Verona dove a quell'epoca si trova. La prima volta che le vengono richiesti i documenti, intestati al suo vero nome, non è creduta e, per una specie di ripicca della sorte, viene inviata ad un campo di concentramento a Vienna. In questa avventura ella può consolarsi di aver ottenuto una soddisfazione morale, quella cioè di essere creduta quello che ha sempre inteso di apparire: un uomo.

La prigionia le procura, inoltre, un'altra soddisfazione. Fin dal 1935 Alice aveva conosciuto una donna che era diventata la sua compagna in una circostanza che ricorda un episodio da romanzo di cappa e spada: una sera di quel 1935, a Brescia, quattro individui sotto l'eccitazione provocata dal giorno della festa cittadina e dall'aspetto di una giovane donna che sembrava annoiarsi, si erano permessi nei suoi confronti qualche manifestazione di galanteria un po' troppo audace. Alice che, finito lo spettacolo, si era confusa tra la folla del parco dei divertimenti aveva notato la scena ed era corsa in aiuto della ragazza. 

Dei quattro importuni ne aveva atterrati tre: forse avrebbe battuto anche il quarto se non fosse intervenuta la polizia. Era, ancora una volta, una manifestazione impostale dal bisogno di esternare ad ogni costo la sua virilità. A parte il fatto che questo gesto cavalleresco le aveva fruttato una condanna a quattro mesi di reclusione per lesioni e porto d'armi abusivo (le era stato trovato addosso un pugnale), Alice ebbe l'occasione, sotto la veste propizia di "salvatore" di entrare nella più stretta intimità con la signorina L.P. 

Questi rapporti iniziatisi nel 1935 durano tuttora - la scoperta dei medesimi fu un duro colpo per la vedova di Castellazzo Bormida - e se si considera che la donna, al momento dell'internamento di Alice in campo di concentramento, tanto brigò che ottenne di essere assunta presso il consolato italiano a Vienna allo scopo di poterla raggiungere,  bisogna riconoscere che il potere di seduzione della donna-uomo è senza dubbio maggiore di quello che molti rappresentanti del sesso forte possono vantare.

Terminata la guerra, Alice rientra in Italia, trasferendosi con la sua compagna ad Alessandria. Abbandonati per sempre i "muri della morte", il casco, i pantaloni alla cavallerizza, Maria Alice diventa un grave, occhialuto assicuratore in doppiopetto nocciola. Al "bolide della morte" ha sostituito il modesto e più sicuro "guzzino", con il quale appunto inizia ad allargare la sua cerchia di affari nei dintorni di Alessandria, ed è così che, pur continuando a convivere con la signorina L.P. inizia la relazione con la vedova R.S.

Ma se lo spunto di questa storia si svolge in un ambiente di sapore dichiaratamente boccaccesco, la sua conclusione minaccia di risolversi alla maniera di una commedia di Pirandello, ché, infatti, il magistrato che conduce l'istruttoria è assediato dalle richieste, tanto dell'amante quanto della fidanzata, che mirano alla pronta scarcerazione di Maria Alice. La signorina L.P., durante un animato interrogatorio, ha gridato al giudice: "E' un uomo quanto voi, e forse più di voi". Quanto alla vedova di Castellazzo - che avrebbe dovuto costituirsi parte civile - ha dichiarato: "Uomo o donna non importa, ma fatelo uscire di prigione".



articolo di Enrico Roda da "Oggi" nr. 21 del 24/5/1951

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