Si trova in questo momento nelle prigioni di Alessandria,
sotto l'accusa di aver estorto del danaro ad una signora di Castellazzo
Bormida, una certa Maria Alice Bertolotti. La faccenda sarebbe piuttosto banale
se la protagonista della vicenda, cioè la Bertolotti, non portasse i pantaloni,
non sostenesse di essere un uomo e non avesse dato in ismanie quando il giudice
istruttore che la stava interrogando le disse, in un momento d'impazienza:
"La smetta di fare commedie e si metta una sottana come tutte le altre
donne". In attesa che la perizia medica definisca la strana posizione
della detenuta e che dall'istruttoria risulti o meno la sua colpevolezza, si
può far conto che Maria Alice appartenga al sesso femminile.
La donna cui Maria Alice Bertolotti avrebbe estorto del
danaro è una vedova di 49 anni che indicheremo con le iniziali R.S., dimostra
qualche anno di più, veste di nero ed è ormai del tutto grigia di capelli.
Quando, qualche anno fa, la buonanima di suo marito la lasciò sola, ella si
trovò in possesso di una piccola eredità
che, in un paese senza tentazioni come Castellazzo Bormida, le avrebbe permesso
di vivere senza preoccupazioni fino al termine dei suoi giorni.
Ma l'amore
entrò nella sua casa.
Ne fu causa accidentale una trascurabile escoriazione
alla mano sinistra che si era prodotta durante il periodo della trebbiatura:
quel giorno le si presentò, a bordo di un "guzzino", un signore con
gli occhiali che, dopo aver mostrato un'ingiustificata apprensione sulle sue
condizioni di salute, cercò di spiegarle quanto meglio sarebbe stato se ella
avesse avuto alle sue spalle la garanzia di una assicurazione, e finì il suo
discorso col proporle di garantirsi, per il futuro, con una polizza. La vedova
era, prima di tutto, una contadina: così, per principio, si rifiutò di firmare.
Ma quando, a qualche settimana di distanza, l'assicuratore si fermò nuovamente
davanti all'uscio della sua casa, ella lo accolse con insolita premura e scese
in cantina in cerca di una bottiglia da sturare in suo onore.
Da quel brindisi nacque una simpatia, così almeno credeva
la vedova, e in seguito, sempre nella sua immaginazione, un fidanzamento. La
gente di Castellazzo cominciò a sorridere. "Ormai", dicevano,
"ha perduto la testa". Se avessero saputo che, oltre alla testa, la
donna stava perdendo il suo patrimonio, insensibilmente, sotto forma di piccoli
prestiti al suo "fidanzato" assicuratore, avrebbero riso di più. Con
tutto questo la signora R.S. era felice. Tra lei e quello che ormai considerava
l'uomo del suo cuore non erano corsi rapporti meno che corretti: anche ora ella
sostiene, e nessuno ne dubita, di non avere scambiato con lui nemmeno un bacio.
Il suo "fidanzato" era quasi un bell'uomo e anche, come si dice, un "tipo
signorile". Un giorno dello scorso marzo il "fidanzato" mancò
all'appuntamento. Si disse che il fidanzamento fosse stato troncato; poi si
seppe che l'assicuratore era in prigione, ma questa notizia scomparve di fronte
ad un'altra più straordinaria: l'assicuratore era una donna.
Quando la signora R.S. venne invitata in questura il suo
stupore fu duplice: non soltanto si metteva in dubbio il sesso del suo
"fidanzato", ma l'assicuratore si trovava in prigione proprio per
colpa sua, senza che lei avesse mai minimamente pensato a denunciarlo, sotto
l'accusa d'averla raggirata estorcendole quel poco denaro di cui disponeva. A
queste notizie la vedova si ribellò: disse che non poteva credere a quanto le
si diceva, parlò di una congiura ordita ai suoi danni e il risultato fu che la
credettero pazza.
Che cosa dicevano i rapporti della questura?
Maria Alice Bertolotti, settima figlia di una modesta
famiglia, nasce a Suzzara (Mantova) quarantun anni prima. Per la sua passione
ai giochi mascolini i compagni di scuola la chiamano "Yotatanka" dal
nome di un personaggio salgariano. A vent'anni lascia il paese e, con il paese,
anche le sottane.
Sotto il nome di Mario Bertolotti la ragazza entra a far
parte di quel mondo nomade e pittoresco proprio dei baracconi da fiera e si guadagna
da vivere facendo l'acrobata motociclista, suscitando il brivido negli
spettatori di uno di quei cosiddetti "muri" o "pozzi della
morte". Tranne un breve periodo in cui, lasciata la motocicletta, è
scritturata come cavallerizzo in un circo, ogni sera, per dodici anni, casacca
rossa, casco e calzoni bianchi, stivaloni neri, rischia la vita, non solo per
il gusto di vestirsi da uomo ma per dare la prova, forse più a se stessa che
agli altri, del suo coraggio.
Nel periodo della guerra Alice non viene, naturalmente,
chiamata alle armi, ma il suo aspetto maschile attira l'attenzione delle
pattuglie tedesche che percorrono le strade di Verona dove a quell'epoca si
trova. La prima volta che le vengono richiesti i documenti, intestati al suo
vero nome, non è creduta e, per una specie di ripicca della sorte, viene
inviata ad un campo di concentramento a Vienna. In questa avventura ella può
consolarsi di aver ottenuto una soddisfazione morale, quella cioè di essere
creduta quello che ha sempre inteso di apparire: un uomo.
La prigionia le procura, inoltre, un'altra soddisfazione.
Fin dal 1935 Alice aveva conosciuto una donna che era diventata la sua compagna
in una circostanza che ricorda un episodio da romanzo di cappa e spada: una
sera di quel 1935, a Brescia, quattro individui sotto l'eccitazione provocata
dal giorno della festa cittadina e dall'aspetto di una giovane donna che
sembrava annoiarsi, si erano permessi nei suoi confronti qualche manifestazione
di galanteria un po' troppo audace. Alice che, finito lo spettacolo, si era
confusa tra la folla del parco dei divertimenti aveva notato la scena ed era
corsa in aiuto della ragazza.
Dei quattro importuni ne aveva atterrati tre:
forse avrebbe battuto anche il quarto se non fosse intervenuta la polizia. Era,
ancora una volta, una manifestazione impostale dal bisogno di esternare ad ogni
costo la sua virilità. A parte il fatto che questo gesto cavalleresco le aveva
fruttato una condanna a quattro mesi di reclusione per lesioni e porto d'armi
abusivo (le era stato trovato addosso un pugnale), Alice ebbe l'occasione,
sotto la veste propizia di "salvatore" di entrare nella più stretta
intimità con la signorina L.P.
Questi rapporti iniziatisi nel 1935 durano
tuttora - la scoperta dei medesimi fu un duro colpo per la vedova di
Castellazzo Bormida - e se si considera che la donna, al momento
dell'internamento di Alice in campo di concentramento, tanto brigò che ottenne
di essere assunta presso il consolato italiano a Vienna allo scopo di poterla
raggiungere, bisogna riconoscere che il
potere di seduzione della donna-uomo è senza dubbio maggiore di quello che
molti rappresentanti del sesso forte possono vantare.
Terminata la guerra, Alice rientra in Italia,
trasferendosi con la sua compagna ad Alessandria. Abbandonati per sempre i
"muri della morte", il casco, i pantaloni alla cavallerizza, Maria
Alice diventa un grave, occhialuto assicuratore in doppiopetto nocciola. Al
"bolide della morte" ha sostituito il modesto e più sicuro
"guzzino", con il quale appunto inizia ad allargare la sua cerchia di
affari nei dintorni di Alessandria, ed è così che, pur continuando a convivere
con la signorina L.P. inizia la relazione con la vedova R.S.
Ma se lo spunto di questa storia si svolge in un ambiente
di sapore dichiaratamente boccaccesco, la sua conclusione minaccia di
risolversi alla maniera di una commedia di Pirandello, ché, infatti, il
magistrato che conduce l'istruttoria è assediato dalle richieste, tanto
dell'amante quanto della fidanzata, che mirano alla pronta scarcerazione di
Maria Alice. La signorina L.P., durante un animato interrogatorio, ha gridato
al giudice: "E' un uomo quanto voi, e forse più di voi". Quanto alla
vedova di Castellazzo - che avrebbe dovuto costituirsi parte civile - ha
dichiarato: "Uomo o donna non importa, ma fatelo uscire di prigione".
articolo di Enrico Roda da "Oggi" nr. 21 del
24/5/1951
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