Era l’alba della mattina di Pasqua quando una vettura
nera, impolverata, attraversò il centro di Livorno e andò a fermarsi davanti al
portone della questura. Scese per primo un agente seguito subito dopo
dall’attrice Lilia Silvi e dal marito di lei, Luigi Scarabello, l’allenatore
della squadra di calcio dello “Spezia” ed ex mezz’ala sinistra della Nazionale.
La vettura della polizia era partita nelle tarde ore di sabato da Roma e aveva
viaggiato tutta la notte. Scarabello e Lilia Silvi erano sconvolti dalla fatica
del viaggio, ma più ancora dalla sensazione dell’imminente crollo della
colossale montatura pubblicitaria tentata d’accordo con due fotoreporter.
Scarabello, scomparso la sera del 6 aprile, domenica delle Palme, era stato
trovato imbavagliato e contuso la notte del 10 aprile in un fosso del bosco di
Montenero; interrogato, aveva detto di essere stato rapito da sconosciuti,
seviziato e conciato in quel modo.
Ora, tre giorni dopo il ritrovamento, i due arrestati
stavano per essere introdotti nella stanza del questore di Livorno.
Il colloquio fra i tre, concitato, si protrasse per circa
un’ora; soltanto allora Scarabello deve essersi accorto che fra gli errori
commessi nell’architettare la trovata pubblicitaria, il principale era stato
senz’altro quello di avere scelto come “teatro dell’operazione” la zona di
Livorno, controllata da un questore che, quando era in Sicilia a combattere la
banda Giuliano, si era addestrato a scoprire trucchi e camuffamenti di ben
altra portata.
Luigi Scarabello crollò e si decise, piangendo, a
confessare tutto, quando il questore Marzano gli rivelò che i fotoreporter
Luciano Palomba e Franco Fedeli avevano già tentato alcune settimane prima di
inscenare una simile trovata con un noto corridore automobilista.
Sarebbero
bastate, tuttavia, alcune considerazioni di assai minore importanza, ispirate
anche dal più comune buonsenso. L’allenatore, tra l’altro, aveva raccontato che
i suoi rapitori gli avevano dato da mangiare soltanto piatti di riso. Ma
qualunque massaia, ben sapendo come il riso sia uno dei cibi più lenti e più
noiosi da cuocere, avrebbe subito dubitato della sincerità di una simile
affermazione. L’immagine dei “brutali rapitori” che nella casa misteriosa e
buia aspettavano che il riso fosse cotto, faceva ridere soltanto a pensarci.
Se nella vicenda del “rapimento” Scarabello c’è stato un
momento in cui tutti hanno potuto credere alla veridicità del racconto, è stato
quando l’allenatore ha fatto il nome dell’ammiraglio Tallarigo come della
persona che sola poteva autorizzarlo a parlare. Nessun giornale ha fatto notare
che Luigi Scarabello era stato, durante la guerra, ufficiale commissario di
complemento della regia marina: questo fatto, messo in relazione alla carica
che l’ammiraglio ricopre come dirigente di un ufficio segreto del ministero
della Marina, poteva effettivamente far pensare a una vicenda di spionaggio.
Questo si continuò a pensare anche quando l’ammiraglio smentì d’avere con lo
Scarabello qualsiasi legame d’ufficio: era evidente che, se anche non fosse
stato vero, non avrebbe in nessun caso potuto rivelarlo. Fra l’altro era
perfettamente logico e naturale che l’attrice Lilia Silvi, un tempo nota e poi
quasi dimenticata, andasse in cerca di un colpo pubblicitario che la riportasse
alla ribalta alla vigilia di fare, insieme a suo marito, un nuovo film.
Il colossale “uovo a sorpresa” che il questore di Livorno
aprì la mattina del giorno di Pasqua conteneva una delle storie più divertenti,
anche se meno edificanti, di questo dopoguerra.
Luigi Scarabello si era messo d’accordo con i
fotoreporter Fedeli e Palomba per inscenare il rapimento dell’ex olimpionico di
calcio. Una ventina di giorni fa Franco Fedeli venne a Livorno, dove conosceva
lo studente Giovanni Poli, e insieme con lui concertò i piani dell’operazione.
Nulla avrebbe servito meglio allo scopo di una piccola stanza che il Poli aveva
affittato, da oltre un anno, in via Montenero 35. La cosa è ormai stabilita.
Ed
ecco che arriva la domenica 6 aprile: Scarabello va ad Empoli con la squadra dello
“Spezia” e, a metà partita, abbandona il campo. Il custode dello stadio lo vede
partire a bordo della sua 1400 color verde oliva. Naturalmente non sospettò di
nulla: e invece proprio da quel momento Scarabello cominciò a recitare la sua
parte.
Il copione preparato dai due fotoreporter prevedeva che
nella scomparsa di Scarabello dovesse comparire un nome misterioso: il signor
Steiffenberg. Ma non prevedeva, forse, che il signor Steiffenberg esistesse
davvero e che, una volta rintracciato, dicesse alla polizia di non saper niente
di tutto quell’affare e di non conoscere affatto i protagonisti della vicenda.
Comunque Luigi Scarabello si presenta a Pisa all’albergo Cavalieri di Malta e
domanda se per caso è stato cercato da un certo Steiffenberg. Gli rispondono,
naturalmente, di no: ma ecco che, giacente in albergo, c’è un telegramma
proprio di Steiffenberg, il quale invita l’allenatore a recarsi subito
all’albergo Astoria di Livorno. Scarabello parte subito e all’Astoria ripete la
domanda già fatta al portiere dell’albergo pisano. Risposta negativa anche qui
e moto di sorpresa e stizza dell’allenatore, il quale, per recitare la sua
parte con maggior zelo, va al ristorante Il Merlo e fa telefonare da un
cameriere all’Astoria per sapere se è arrivato il signor Steiffenberg, che
ovviamente non c’è. Ora Scarabello è sicuro che questo nome misterioso sia
entrato bene in testa a qualcuno, e che l’ora del rapimento sia giunta.
Fra gli errori divertenti da scoprire nel rebus
poliziesco ce n’è uno che i livornesi hanno “annusato” per primi. Luigi
Scarabello era stato rapito, secondo il suo racconto, appena uscito dal
ristorante Il Merlo, vicino agli scali d’Azeglio, lungo uno dei canali che
attraversano la città. Ma com’è possibile rapire un uomo in un luogo così frequentato
e bene illuminato? E’ vero che l’allenatore era stato avvicinato da una vettura
con a bordo due uomini, agguantato e tirato dentro, ma almeno un grido di aiuto
poteva uscire dalla sua bocca e i passanti dovevano averlo udito: la verità era
che nessuno aveva visto l’automobile misteriosa perché alle 22.30 di domenica 6
aprile Luigi Scarabello stava tranquillamente viaggiando a bordo del filobus di
Montenero in compagnia di Fedeli e Poli.
Il terzetto scende a una fermata
vicina alla stanza dello studente ed ecco che Scarabello entra “a occhi
bendati” nella misteriosa casa dove i suoi rapitori lo torturano con fasci di
luce e gli danno da mangiare piatti di riso.
Scarabello era una volta uno sportivo temprato alle
fatiche del giuoco, ma col passare degli anni sembra che ami le comodità.
Quella stamberghetta non gli piace: tra l’altro c’è un freddo da morire. I due
“rapitori” pensano allora di trasferirlo nella casa di Poli. Qui ci sono più
comodità ma la regia del “rapimento” esige che l’allenatore debba apparire
emaciato e sconvolto all’atto del ritrovamento: perciò, suo malgrado, deve
mangiare poco, non farsi la barba e andare a letto vestito.
Bisogna aspettare che
passino le giornate di lunedì e martedì fino al momento fissato per il
ritrovamento. Sono su per giù le diciassette di lunedì 7 aprile quando, per
primo, un giornale di Roma annuncia a grossi caratteri la misteriosa scomparsa
dell’allenatore Luigi Scarabello. Il giornale sa anche che la moglie del
“rapito”, Lilia Silvi, è partita in tutta fretta alla volta di Pisa.
E’ bene a questo punto riprendere la caccia agli errori e
domandarsi dove Lilia Silvi aveva potuto ricevere la famosa lettera scritta dal
marito sotto la minaccia dei suoi rapitori. L’attrice esce a fare la spesa e a
un tratto trova la sua amica Maria Fede-Aureli alla quale comunica la
sconvolgente notizia: generalmente la posta si riceva a casa e non per strada.
D’altra parte nessuno chiese a Scarabello, dopo il ritrovamento, come avesse
fatto una lettera impostata a Livorno dopo la mezzanotte di domenica, ad
arrivare il lunedì di prima mattina a Roma, considerato anche che si era sotto
le feste pasquali e che i ritardi nella posta erano fortissimi.
A parte questo
Lilia Silvi, una volta arrivata a Pisa e rinchiusasi nella camera 306
dell’albergo Cavalieri, recitò a meraviglia la sua parte: una leggera
deficienza si poteva caso mai riscontrare nell’eccessiva insistenza a chiedere
alla polizia di non occuparsi della faccenda, quando una comune moglie avrebbe
messo sottosopra l’intera “celere” italiana pur di ritrovare il marito rapito.
Si giunge così alla notte fra il mercoledì e il giovedì.
Ormai il mistero è al culmine. E’ stata ritrovata anche l’auto che Scarabello
aveva lasciato chiusa al parcheggio dell’albergo Astoria. E’ il momento di
ritrovare l’allenatore scomparso: alle ventuno circa il terzetto, rapito e
rapitori, si imbarca sulla “topolino” di Franco Fedeli e Scarabello viene
deposto in una buca vicino al semaforo del Montaccio, poco sopra a Montenero.
Dovrà starci appena tre quarti d’ora: il tempo, insomma, di dare l’allarme.
Ci deve essere stato un momento in cui Luigi Scarabello,
legato come un salame e affamato, deve aver dubitato di essere stato a sua
volta vittima di uno scherzo dei fotoreporter. I tre quarti d’ora erano passati
e non si vedeva nessuno; passarono una, due, tre, quattro ore e i “salvatori”
non arrivavano. E’ vero che l’allenatore aveva in mano un nodoso bastone che i
suoi complici gli avevano lasciato per difendersi da eventuali cani randagi, ma
che poteva farsene? Mangiarlo no di certo e neanche adoprarlo per sciogliersi
dalle robuste funi.
Intanto Fedeli e Palomba erano pronti con macchine
fotografiche e lampi al magnesio nella redazione del giornale locale La
Gazzetta. Pronti a ricevere una telefonata, che naturalmente soltanto loro
aspettavano. Ecco, infatti, che all’1,25 di notte il telefono squilla: una voce
dall’accento forestiero annuncia che se si vuole ritrovare Scarabello si deve
cercarlo a Montenero. La voce è dello studente Poli, ma naturalmente tutti
pensano al misterioso Steiffenberg. I due fotoreporter accorrono.
La sera stessa il giornale livornese esce con un titolo a
tutta prima pagina annunciando “il più grande fotoreportage di questo
dopoguerra”. I giornalisti raccontano come hanno trovato “il corpo esanime di
Scarabello” e riportano le sue domande un po’ sconnesse sullo stato di salute
della moglie e delle bambine; bastò, tuttavia, che egli cominciasse a parlare
perché il questore Marzano, che lo ascoltava, avesse i primi dubbi. Il suo
racconto sembrava imparato a memoria tanto erano precisamente descritte le
circostanze e le ore della vicenda: come nei rebus polizieschi c’erano degli
errori che potevano essere scoperti con un po’ di pazienza e di buon senso.
Luigi Scarabello e i suoi complici saranno probabilmente
condannati per simulazione di reato (la pena varia da uno a tre anni), così
questa trovata verrà a costare molto cara.
Articolo
di Giorgio Gigli da “Oggi” n. 17 del 24/4/1952
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