PRIGIONIERA PER 105 GIORNI
DI UN INNAMORATO TIMIDO
articolo di "Oggi" n. 18 del 2 maggio 1957
“Le indagini proseguono”. Con questa frase il portavoce
della polizia londinese ha eluso le domande che da due giorni i più abili
reporter della capitale britannica vanno facendo ai funzionari di Scotland Yard
riguardo a uno dei più curiosi fatti di cronaca che siano avvenuti in questi
anni. Per quindici settimane, infatti, una ragazza di ventotto anni, tale
Marjorie Jordan, è stata tenuta prigioniera in una profonda buca scavata sotto
un vecchio rifugio antiaereo; ma la cosa curiosa è che Marjorie, se proprio
avesse voluto, non avrebbe avuto difficoltà a fuggire. Per quale ragione restò
in balia del suo persecutore, E perché mai questi scelse proprio Marjorie per
compiere le sue stranezze? È quanto appunto la polizia sta cercando di
spiegare.
La storia della signorina Jordan, che abita a Beckenham,
un sobborgo di Londra nei pressi di Croydon, cominciò la notte tra il 7 e l’8
gennaio.
“Qualcuno scuoteva il letto”, racconta la ragazza, “così
mi svegliai. Nella semioscurità della stanza vidi uno sconosciuto. Mi disse con
voce dura che se mi fossi ribellata ai suoi ordini mi avrebbe presa a pugni.
Poi, indicando i miei abiti che stavano su una sedia, mi impose di vestirmi.
Quando fui pronta mi chiuse la bocca con un pezzo di cerotto e mi fece uscire
in giardino dalla finestra. Accanto al cancello vi era una motocicletta sulla
quale mi obbligò a salire: appena si fu assicurato che ero bene in sella partì
di gran carriera. Nella notte girammo per le più strette vie di Londra e
finalmente giungemmo ad una piccola villa. Mi fece entrare in casa e di lì mi condusse
in un misero giardino in mezzo al quale sorgeva ancora uno dei vecchi rifugi
antiaerei fatti di lamiera ondulata”.
A questo punto il comportamento del rapitore divenne
inesplicabile. Con la massima gentilezza egli spiegò alla ragazza di chiamarsi
John e di averla portata con lui perché aveva bisogno di aiuto per un
importante lavoro. Sotto il rifugio, spiegò, egli aveva scavato una stanza
sotterranea. “Come vedrete”, disse gentilmente, “questa stanza è un po’ piccola
e ancora molto in disordine. Sono sicuro che proverete il massimo piacere nel
metterla in ordine”.
Così dicendo aprì una botola nel pavimento del rifugio e
attraverso di essa, lungo una scala a pioli, fece discendere Marjorie nella
famosa stanza. In realtà non si trattava altro che di una specie di cantina,
scavata nell’argilla, dove era stata sistemata una branda e dal cui soffitto
pendeva una lampadina elettrica. “La faremo più grande e più bella”, disse John
accennando all’antro in cui aveva condotto la ragazza. “Adesso vi preparo una
buona tazza di tè e domattina cominceremo subito il lavoro”. E così fece.
Dopo pochi giorni Marjorie perse il senso del tempo. Laggiù
non si vedeva né la luce del sole né il buio della notte. Con un piccolo badile
scavava continuamente e riempiva di argilla, uno dopo l’altro, dei grandi cesti
che John portava su in giardino. Un giorno, stanca di questa vita, Marjorie
decise di fuggire. Salì nel rifugio, ma purtroppo John si accorse di lei e le
diede uno spintone buttandola a terra. “Guai se vi riproverete a farlo ancora”,
disse con il suo solito tono cortese, “sarei costretto a finire da solo l’arredamento
della cantina”.
Un altro giorno, in vena di confidenza, passò un braccio
intorno alla vita della ragazza, la quale lo respinse dicendogli: “Queste cose
non mi interessano”. “Scusatemi”, rispose John, “avete ragione. L’unica cosa
importante è quella di mettere a posto la nostra cantina”.
Intanto il tempo passava e John diventava di giorno in
giorno più cortese. La ragazza scriveva su un foglio di carta la lista delle
vivande e il giovanotto si affrettava ad andare a far la spesa nei migliori
negozi di Londra. Ritornava con la sporta colma e si chiudeva in cucina a
preparare ottimi manicaretti che poi portava alla ragazza e divideva con lei,
laggiù nella cantina, a quattro metri sotto il livello del suolo.
Finalmente i lavori di scavo giunsero alla fine; allora,
preparato del cemento, John e Marjorie intonacarono la cantina e ne
tappezzarono le pareti con vecchi giornali. Ogni tanto egli la faceva salire
nella sua casa dove la ragazza poteva lavarsi. “Ciò avveniva sempre di notte”,
racconta Marjorie. “C’era un gran silenzio e io avevo paura di chiamare aiuto”.
Un bel giorno, stanca di restare sempre sotto terra,
Marjorie decise di fare lo sciopero della fame per cercare di commuovere il suo
carceriere: dopo una settimana, però, visto che John non la lasciava libera, la
ragazza si convinse che non c’era niente da fare e si mise di nuovo a mangiare
le buone cose che egli preparava per lei. Quale compenso per queste sue
prestazioni gastronomiche John la pregò di farle un panciotto a maglia, cosa
che Marjorie di buon grado fece con grande soddisfazione dello strano aguzzino.
Ma a dispetto di questi buoni rapporti intercorrenti fra carceriere e schiava,
Marjorie era sempre più stanca di vivere come una talpa. Un giorno provò a
forzare la botola, ma non riuscì’ a smuoverla neppure di un millimetro; allora,
su pezzi sporchi di carta, scrisse messaggi di aiuto, che poi nascondeva nella
terra che John portava continuamente alla superficie. Infatti il giovanotto,
non contento di aver rafforzato con il cemento le pareti della cantina, preso
da furore costruttivo aveva cominciato a scavare una seconda caverna sotto la
prima.
Questi messaggi, però, non giunsero mai in mani fidate, finché
un giorno, trovandosi sola, Marjorie riuscì a salire nel rifugio, il quale,
vecchio e sgangherato, aveva delle fessure attraverso cui si poteva scorgere un
pezzetto di giardino. La ragazza scrisse di nuovo un altro messaggio e lo gettò
all’esterno: un fortunato colpo di vento portò il messaggio nel contiguo
giardino di una signora che raccolse il pezzo di carta. Le parole drammatiche
le fecero dapprima credere a uno scherzo di ragazzi, ma poi si convinse a
chiamare la polizia.
E la polizia arrivò. Quando John sentì gli agenti bussare
alla sua porta, discese immediatamente nella stanza sotterranea e con aria
triste disse alla ragazza: “Il gioco è finito: c’è la polizia”.
A questo punto verrebbe logico pensare che John (John
Bridal, come fu poi stabilito, un ingegnere ventiseienne disoccupato) sia un
pazzo. In realtà pare che il giovane sia perfettamente sano di mente e che nel
suo strano comportamento si debba più che altro vedere gli effetti di una
grande timidezza.
“Non è vero”, ha dichiarato John alla polizia, “che io
tenessi prigioniera la signorina Jordan. Ne avevo bisogno per i miei
esperimenti segretissimi. Andai a casa di Marjorie e buttai un po’ di ghiaia
contro le finestre della camera in cui dormiva: si svegliò, si affacciò e mi
fece entrare in casa. La pregai allora di venire con me: dapprima disse no, ma
infine, senza che io le facessi nessuna violenza, si decise a salire con me
sulla motocicletta. Come avrei potuto infatti obbligarla a salire sulla
motocicletta? Forse turandole la bocca con il cerotto? Quando poi Marjorie fu
nella cantina si adattò benissimo a quella vita. I primi giorni, è vero,
protestò un poco, ma poi le passò. È vero che la porta del rifugio era chiusa,
ma se proprio la ragazza avesse tenuto alla sua libertà certamente avrebbe
potuto fuggire”.
“Del resto, io, quando la chiusi nella stanza, mi
aspettai, lo confesso, una reazione violenta: Marjorie, invece, non disse
nulla. Un giorno cercò di andarsene, ma io la presi per le spalle e la pregai
di restare, cosa che fece. E inoltre, non mi confezionò forse questo bellissimo
panciotto a maglia? Ciò significa che la ragazza era contenta del suo stato.
Del resto io feci il possibile per farla star bene. Le portai una radio e
andavo persino alla biblioteca circolante a prenderle i libri che desiderava; e
poi non la facevo lavorare molto. Sono molto seccato di averla perduta, era la
migliore aiutante che abbia mai avuto”.
Dietro queste curiose, per non dire sconcertanti, dichiarazioni,
si cela con molta probabilità un dramma della timidezza e delle buone maniere
inglesi. John Bridal era un innamorato timido (”a volte sembrava completamente
istupidito per troppo amore", ha dichiarato Marjorie) che non seppe trovare
altro modo di confessare il suo sentimento che quello di rapire la ragazza e
tenerla prigioniera in casa sua; d’altra parte la ragazza, timida a sua volta e
ben educata, non seppe ribellarsi alla strana situazione in cui era venuta a
trovarsi. Per noi italiani questa può sembrare una storia pazzesca ma per gli
inglesi è meno curiosa di quanto sembri. Comunque sia, si tratta di una vicenda
i cui profondi moventi psicologici non potranno mai essere svelati, anche se la
polizia, come burocraticamente ha annunciato il portavoce di Scotland Yard, “sta
continuando le sue indagini”.
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