venerdì 22 febbraio 2019

L'ALTRA FIGLIA DELLO ZAR



LA PRIMOGENITA DELLO ZAR RISUSCITA SUL LAGO DI COMO?


Articolo di Mariagrazia Cucco da “Oggi” n. 7 del 18 febbraio 1960




Chi è la misteriosa signora che vive a Menaggio in una piccola villa vicino al lago, sulla strada che conduce a Nobiallo? Non è alta ma ha il portamento maestoso, veste alla russa con lunghe giacche e cappelli simili a colbacchi, si circonda di una piccola corte, fa sfoggio, a volte, di bracciali e spille che recano impressa una minuscola corona imperiale. Due cani lupo dall’aspetto inquietante difendono la sua casa dagli estranei e chi si avvicina al cancello del giardino viene accolto da latrati rabbiosi che si prolungano sin che sulla soglia non appare uno di casa.



Sui documenti di viaggio della signora, nei registri del comune, figura il nome di Marga Boodts, ma la signora dice – e con lei lo ripetono alcuni amici fedeli – che gliene spetta uno assai più suggestivo: Olga Romanov. Ella, infatti, afferma di essere la figlia primogenita dell’ultimo zar di Russia Nicola II e della zarina Alessandra, prodigiosamente sfuggita al massacro di Ekaterinburg nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 1918.



Non è da oggi che Marga Boodts rivendica il titolo di discendente dello zar. A Menaggio e nei paesi vicini si parla comunemente di lei come della “granduchessa Olga” e già negli anni passati giornali e riviste ebbero modo di interessarsi del suo caso.

Perché torna oggi alla ribalta il suo nome? E perché proprio ora Marga Boodts si dichiara decisa ad andare in fondo per ottenere il riconoscimento della sua identità? Il motivo è semplice: la signora ha saputo che il tribunale di Amburgo si dispone a dire una parola definitiva sull’intricata vicenda di cui è protagonista Anna Anderson, la donna che da quasi quarant’anni va proclamando di essere la granduchessa Anastasia, terzogenita dello zar.

“Ho taciuto fino ad ora”, dichiara in questi giorni Marga Boodts, “ma davanti al pericolo che un’avventuriera abbia successo nel tentativo di farsi passare come una mia sorella, voglio dire chiaro e forte che solo io, Olga Nicolajevna, sono sopravvissuta alla strage di Ekaterinburg”.

Di questo avvenimento, com’è noto, esiste una versione ufficiale, universalmente accettata, secondo la quale l’esecuzione della famiglia imperiale sarebbe stata eseguita per iniziativa degli agenti della Ceka che avevano in custodia i Romanov. Nel luglio del 1918 Ekaterinburg, una cittadina degli Urali che oggi ha cambiato il nome in quello di Sverdlovsk, stava per essere raggiunta e conquistata dall’armata dei russi bianchi al comando dell’ammiraglio Kolciak. Temendo che i bianchi, fedeli alla causa monarchica, potessero liberare lo zar e la sua famiglia, Yurowski, commissario della Ceka, si assunse la responsabilità di ordinarne l’immediato sterminio. Lo zar, la zarina, le quattro granduchesse e il piccolo zarevic Alessio vennero condotti nella cantina della casa in cui abitavano e qui furono trucidati a colpi d’arma da fuoco e di baionetta. I loro corpi vennero rapidamente e sommariamente sepolti e quando di lì a pochi giorni l’ammiraglio Kolciak occupò la zona non poté che constatare la morte dell’infelice famiglia imperiale.


L’atto di inutile barbarie commosse tutta l’Europa e per anni e anni le vicende che si svolsero in quella notte furono oggetto di indagini pazienti e accurate. Fin dai primi giorni, del resto, Kolciak aveva ordinato in loco una grande inchiesta cui aveva presieduto il giudice Sokolov: ogni particolare venne scrupolosamente vagliato, molti miseri resti dei Romanov furono identificati, mentre nel frattempo le responsabilità dell’eccidio venivano palleggiate tra un esponente e l’altro del movimento rivoluzionario.

La conclusione ufficiale, sia dalla parte bianca che da quella bolscevica, fu che neppure uno degli infelici membri della famiglia imperiale era scampato alla strage.

Ben diverso è il racconto di Marga Boodts. Solo apparentemente, spiega la signora, le cose si svolsero come tutti sanno. La morte dei Romanov non fu voluta né dal governo di Mosca né dagli agenti della Ceka che, anzi, avevano avuto l’ordine di vegliare sulla sicurezza della famiglia imperiale. Secondo la versione fornita da Marga Boodts, a ordinare la feroce esecuzione sarebbero stati addirittura alcuni membri dell’armata bianca, e precisamente certi granduchi che, per aver partecipato ad una congiura di palazzo al tempo in cui Nicola II regnava, ne temevano la vendetta. Secondo la versione dell’entourage di Marga Boodts – versione piuttosto paradossale e assurda, come ognuno vede – i granduchi traditori avrebbero prezzolato gli agenti della Ceka perché compissero l’eccidio. Ma c’è di più: proprio a un agente della Ceka e non, come si potrebbe credere, a un fedele monarchico dovrebbe la sua vita la sedicente granduchessa Olga.

Infatti, dopo aver visto cadere i genitori e i fratelli (“Ricordo bene”, dice la signora Boodts, “come morì Anastasia: stava pregando in ginocchio quando un sicario la colpì”), Olga avrebbe riconosciuto in uno degli uomini che assistevano all’esecuzione un giovane che un tempo aveva fatto parte del reggimento degli Ussari di cui essa era stata nominata colonnello onorario. Olga rivolse un’occhiata supplichevole al giovane (nel racconto di Marga Boodts egli figura sempre come Dimitri) e questi le assestò sulla fronte un piccolo colpo con il calcio della rivoltella. Evidentemente, argomenta la donna, aveva intenzione di stordirla perché tutti la credessero morta e non infierissero su di lei.




Due giorni dopo la granduchessa si risvegliò in una isba nei dintorni di Ekaterinburg dove Dimitri l’aveva trasportata nascondendola in un sacco di fieno e facendola viaggiare a bordo di un carrello a pedali, di quelli in uso presso i casellanti per spostarsi lungo le linee ferroviarie. Olga aveva una febbre fortissima e solo a fatica riuscì a riprendersi dallo choc della notte fatale. Quando si fu rimessa si accinse ad attraversare, sempre accompagnata da Dimitri, tutta la Siberia da Ekaterinburg a Vladivostok. Il viaggio fu compiuto parte a piedi e parte a bordo delle vetture della Transiberiana, e durò complessivamente una decina di mesi.

A Vladivostok Olga si fece rilasciare dalle autorità cittadine – quella parte della Russia era ancora in mano ai bianchi – una dichiarazione da cui risultava che ella era, senz’ombra di incertezza, la figlia primogenita dello zar. Forte di questo documento Olga si sarebbe più tardi presentata al Kaiser Guglielmo II che, dopo la sconfitta, viveva esule in Olanda. L’ex imperatore avrebbe accolto a braccia aperte la ragazza, affidandola a una dama di corte, la baronessa Elisabeth von Schaewenbach, figlia di un alto ufficiale del servizio segreto, facendole giurare che il segreto sull’identità di Olga sarebbe sempre stato mantenuto.

Elisabeth von Schaewenbach è tuttora vivente e spesso si reca a Menaggio con la figlia Birgitte von Harrach per far visita a Marga Boodts. Lo stesso Guglielmo II avrebbe scelto per la granduchessa russa il nome con cui essa è tuttora conosciuta, nome di suono inglese appartenuto a una donna realmente vissuta.

Sempre protetta e aiutata dalla baronessa tedesca, la sedicente figlia dello zar avrebbe vissuto successivamente a Berlino, sulla Costa Azzurra, a Tremezzo. Da Tremezzo, dopo un breve periodo in Svizzera, si trasferì a Menaggio nel 1946, affittò la villetta in cui abita tuttora ed acquistò per sua difesa personale Teufel, un feroce cane lupo già appartenente ad un “SS”.

Che documenti porta a sostegno di questa stupefacente storia la signora Boodts? Intanto la dichiarazione di Vladivostok, poi una dichiarazione scritta in italiano e in tedesco firmata dalla baronessa von Schaewenbach, poi un’altra dichiarazione vidimata dal console tedesco della Costarica e firmata dal principe Sigismondo di Prussia che afferma in essa di riconoscere come cugina Marga Boodts. Un’altra prova cui fanno molto caso i sostenitori della identificazione di Marga con Olga consiste in una cicatrice che la donna reca alla sommità del capo, identica a quella che la primogenita dello zar avrebbe avuto.

Naturalmente anche alla mente del più superficiale osservatore si presentano a questo punto obiezioni elementari. Olga-Marga e i suoi sostenitori sanno dare con disinvoltura una risposta a quasi tutto.

La prima cosa che ci si chiede è come mai non sia stata notata l’assenza del cadavere di Olga: la signora spiega che Dimitri, subito dopo l’eccidio dei Romanov, avrebbe scoperto una cameriera intenta a spogliare i cadaveri: uccise anche lei e ne aggiunse il cadavere al mucchio in cui già erano stati raccolti i corpi dello zar, della moglie e dei figli. Ecco perché il conto tornava.

E perché, ci si chiede inoltre, Dimitri non viene lui stesso a suffragare con la sua testimonianza la veridicità delle asserzioni di Marga? Dimitri, si ribatte, ha oggi una posizione che non gli permette di farsi avanti: egli occupa un altissimo grado della gerarchia militare sovietica.

C’è anche chi, avendo osservato che i capelli della signora Boodts sono in parte bianchi in parte biondi, ricorda che le granduchesse russe li avevano scuri; la signora risponde senza imbarazzo che i suoi capelli trascolorarono per il grande spavento provato durante l’eccidio.

Ad un’altra obiezione, però, la “granduchessa Olga” trova più difficile rispondere. Ella non parla il russo. Ce l’ha rivelato una signora nativa di Pietroburgo, che ha sposato un italiano e da moltissimi anni vive a Rezzonico, a pochi chilometri da Menaggio. Due anni fa la signora volle recarsi a rendere omaggio alla “granduchessa”.

“È stata molto gentile”, dice nel suo italiano ancora incerto, “Era bella, elegante, con una splendida vestaglia rosa. Io le ho subito parlato in russo ma lei mi ha fermato: “Non parlo più il russo”, mi ha detto. È stata assai gentile e mi ha detto di tornare ancora a visitarla. Sono tornata tre o quattro volte ma mi dicevano che non c’era mai: era a passeggio oppure a letto ammalata. Dicono che sia proprio la figlia del nostro zar. Ha la mia età ed è venuta via dalla Russia lo stesso ano in cui sono fuggita io. Io, però, il russo non l’ho dimenticato…”



N.d.R.
Marga Boodts non è che una dei tanti personaggi che, nel corso degli anni, sostennero di essere membri della famiglia imperiale salvatisi miracolosamente; nel 1991 e nel 2007, però, furono ritrovati nei pressi di Ekaterinburg alcuni scheletri che, sottoposti al test del DNA, hanno rivelato un’altissima probabilità di appartenere allo zar e alla sua famiglia.

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