Nell’aprile del 1959 si tenne a Genova, a Palazzo Ducale,
un processo molto particolare che, se non fossero stati presenti in aula molti
di coloro che all’Antico Banco De Cavi avevano affidato i loro risparmi e che
avevano perduto tutto, avrebbe certo potuto aspirare al titolo di più
divertente dell’anno.
Il marchese Giannetto De Cavi era una delle personalità
più in vista della società genovese: proprietario dell’Antico Banco De Cavi,
una banca privata ereditata dal padre, aveva nel dopoguerra esteso la propria
attività dedicandosi alla lavorazione della latta, all’importazione di
macchinari agricoli ed anche all’editoria, rilevando nel 1945 un quotidiano, il
“Corriere degli Alleati”. Oltre che agli affari, però, il marchese era anche
incline alle cose spirituali, fino al misticismo e alla suggestione per le cose
ultraterrene.
Nel 1951 sua suocera, la scrittrice Piera Delfino Sessa,
recatasi nel Canton Ticino per una serie di conferenze religiose, incontrò un
certo L. P.*, un personaggio piuttosto curioso.
L. era un cantante lirico che, nel 1946, viveva a
Milano con la moglie. Un giorno, mentre si produceva in vocalizzi nella
sua casa di Corso Monforte, improvvisamente gli apparve nientemeno che Gesù
Missionario (?) in tutta la sua magnificenza, giunto a Milano appositamente per
comunicargli le formule di due farmaci capaci di curare rispettivamente il
cancro e la tubercolosi.
Senza ovviamente capire un’acca di chimica, L. e la
moglie folgorati da tanta rivelazione si dedicarono completamente alla
realizzazione delle fiale; tramite un certo Padre Roberto riuscirono ad
introdursi negli ambienti farmaceutici milanesi, ma nessuno gli diede retta,
quindi i due partirono per la Svizzera e si stabilirono a Bellinzona dove
proseguirono nella loro opera. Si misero a fare proseliti e riuscirono a vendere
parecchie scatole di medicinale al prezzo non proprio popolare di 25 mila lire
la scatola, finché non furono espulsi dalla confederazione: le loro fiale,
analizzate, risultarono essere piene di acqua solforata.
Fu a questo punto che avvenne l’incontro tra L. e la
signora Delfino Sessa. L’ex-cantante capì subito che De Cavi era l’uomo del
destino, colui che aveva i mezzi per dedicarsi alla fabbricazione delle fiale
su larga scala. Tra i due uomini iniziò una fitta corrispondenza: L., che usava
carta intestata col motto “Gesù, sola speranza”, a volte si rivolgeva al
marchese col “lei” e si firmava semplicemente col suo nome; a volte invece gli dava
del “tu” e firmava Gesù missionario.
Dopo qualche tempo il marchese finalmente propose a
L. l’acquisto delle due magiche formule. “Mi convinsi ad accettare”, disse
poi questi ai giudici, “dopo che Gesù missionario parlandomi di De Cavi mi
disse: “Questa è la mia linea”. Scrissi a De Cavi che la divina provvidenza
aveva scelto proprio lui per la realizzazione del farmaco, e De Cavi, signori,
credette. E adesso sono qui, in croce come il Signore, signor presidente…”.
Nel settembre del 1951, dopo tre mesi di trattative,
l’affare venne concluso e L., in cambio delle formule, ricevette in tre
rate quattro milioni e mezzo di lire ed un’apertura di credito di dieci
milioni. Poco dopo i coniugi si trasferirono a Genova su invito del De Cavi che
mise a loro disposizione un suo appartamento nella centrale Via Assarotti, e la
storia di Gesù missionario e delle fiale cominciò a diffondersi in città.
Il
marchese, ormai preda del suo misticismo e convinto di essere stato prescelto
per beneficare l’umanità, parlava con tutti del progetto, e gli aneddoti sulle
sue stranezze cominciarono a moltiplicarsi: un giorno, per esempio, sarebbe
stato sorpreso mentre riempiva un taccuino di dati inginocchiato davanti a un
altare nella chiesa di San Matteo, un altro giorno un signore andò a casa sua
per una colazione riservata e vide la
tavola imbandita per tre. “Non mi ha detto che aveva un altro ospite”, obiettò,
e De Cavi: “No, no, è il posto riservato per Padre Pio. Ma è già presente, non
vede che sta mangiando?”
Il banchiere fece smantellare una fabbrica per la
lavorazione della lamiera che aveva a Nervi (sembra su indicazione di una
lettera di Gesù missionario) e vi profuse milioni per trasformarla in un
laboratorio farmaceutico, dotandola delle apparecchiature più moderne. La sua
situazione finanziaria, però, andava paurosamente aggravandosi, e l’unica
possibilità di riprendere quota consisteva ormai nelle fiale. In dicembre De
Cavi si recò a Roma e presentò al ministero della Sanità la domanda per la
fabbricazione e la vendita delle fiale: ne ebbe risposta negativa.
Fu un brutto colpo, ma non bisognava perdere la fiducia
in Gesù missionario, e per questo c’erano le frequenti lettere di L. Un
giorno ne ricevette una dove lesse: “Caro Giannetto, cerca di non essere troppo
impaziente, perché tutto va come stabilito dal Padre mio che è nei Cieli. Ti
benedico. Gesù missionario”.
Pochi giorni prima di Natale i coniugi P. gli
suggerirono di parlare della cosa con Mons. Giuseppe Siri, arcivescovo di
Genova, cosa che il marchese, ormai incapace di ragionare lucidamente, fece in
occasione degli auguri per le feste.
De Cavi, in verità, aveva ogni tanto dei momenti in cui
tornava alla realtà: la produzione dei farmaci non andava avanti, il permesso
non era stato concesso. Ma c’erano sempre, a dargli coraggio, le lettere.
Un
giorno, in risposta a domande e sollecitazioni rivolte a L., ricevette
questo scritto. “No, non bisogna fare altre domande, perché la formula non
avrebbe valore nel mondo per la convalidazione della Rivelazione. Tu comprendi
che talvolta posso pure scherzare, con te come con gli altri, ma il Vangelo dice:
date a Cesare quel che è di Cesare. A Roma si deve dare qualche bustarella un
po’ fornita, al resto penserò io. Non hai compreso qual è il tuo dovere verso
la medicina, come ti dicevo nella mia precedente? Mi spiegherò meglio e ti dirò
che è ora di mettere da parte il residuo timore che hai nel subcosciente. Solo
quando avrai finalmente eseguito i miei ordini sarai completamente tranquillo e
tutto scorrerà pacifico. Infatti già due mesi fa ti avevo dato degli ordini che
non hai eseguito nemmeno in parte: ascoltami ora e non temere. Se ho fatto dei
P. i depositari di un meraviglioso segreto, credi che l’abbia fatto invano?
Essi se ne sono resi degni in seguito a infinite prove e ora voglio da loro una
certa quale garanzia che le mie parole non sono vane… a te ora il decidere
sull’obbedienza. Saprai il resto e te ne darò i mezzi. Con la purezza del
Divino Amore ti benedico”.
Evidentemente il marchese decise di obbedire agli ordini
di Gesù missionario e proseguì nella corsa alle spese pazze per eliminare il cancro
e la tubercolosi dall’umanità, e anche per concludere più prosaicamente
l’operazione che avrebbe dovuto portare linfa alle semivuote casse del Banco e
delle altre società, Ma il 31 maggio una notificazione della Curia mise le cose
nei loro veri termini, avvertendo i fedeli di non prestare attenzione al
portentoso medicamento di ispirazione divina.
Fu la fine delle visioni, delle lettere, delle fantasie.
I coniugi P., per un certo periodo, andarono in carcere: poi sparirono,
tornarono a Milano, e De Cavi rimase solo e senza incoraggiamenti celesti a
cercare di fermare il tracollo, avvenuto ai primi di febbraio 1954.
De Cavi si rese latitante e venne arrestato soltanto nel
luglio 1958 nella Villa Delfino di Stazzano, nei pressi di Serravalle Scrivia.
“Ma lei, De Cavi”, disse ad un certo punto il presidente
del tribunale, “proprio lei che era così religioso, ha creduto anche quando
Gesù missionario consigliava di corrompere le autorità di Roma con qualche
bustarella?” De Cavi esitò un attimo: “No, no, questo particolare non l’ho
tenuto in considerazione”.
Intanto L., che era stato invitato dal
presidente a controllare se le lettere di Gesù missionario allegate agli atti
erano proprio sue, confermava tranquillamente: “Sì, mi sono state dettate da
Gesù. Comunque, siccome mi venivano dettate e io non sapevo nulla di quel che
facevo, rifaccio la firma e la confronto…” Un avvocato a questo punto gridò:
“Ma si deve perdere così il tempo nel 1959?”. L., sempre serafico, allargò
le braccia: “Il Signore è venuto per salvare tutti: per dare la mano a chi ne
ha bisogno…”.
*su richiesta della figlia di L. P., sono stati omessi nomi e cognomi.
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