martedì 23 ottobre 2018

LE FIALE MIRACOLOSE DEL MARCHESE GIANNETTO





Nell’aprile del 1959 si tenne a Genova, a Palazzo Ducale, un processo molto particolare che, se non fossero stati presenti in aula molti di coloro che all’Antico Banco De Cavi avevano affidato i loro risparmi e che avevano perduto tutto, avrebbe certo potuto aspirare al titolo di più divertente dell’anno.

Il marchese Giannetto De Cavi era una delle personalità più in vista della società genovese: proprietario dell’Antico Banco De Cavi, una banca privata ereditata dal padre, aveva nel dopoguerra esteso la propria attività dedicandosi alla lavorazione della latta, all’importazione di macchinari agricoli ed anche all’editoria, rilevando nel 1945 un quotidiano, il “Corriere degli Alleati”. Oltre che agli affari, però, il marchese era anche incline alle cose spirituali, fino al misticismo e alla suggestione per le cose ultraterrene.

Nel 1951 sua suocera, la scrittrice Piera Delfino Sessa, recatasi nel Canton Ticino per una serie di conferenze religiose, incontrò un certo L. P.*, un personaggio piuttosto curioso.

L. era un cantante lirico che, nel 1946, viveva a Milano con la moglie. Un giorno, mentre si produceva in vocalizzi nella sua casa di Corso Monforte, improvvisamente gli apparve nientemeno che Gesù Missionario (?) in tutta la sua magnificenza, giunto a Milano appositamente per comunicargli le formule di due farmaci capaci di curare rispettivamente il cancro e la tubercolosi.

Senza ovviamente capire un’acca di chimica, L. e la moglie folgorati da tanta rivelazione si dedicarono completamente alla realizzazione delle fiale; tramite un certo Padre Roberto riuscirono ad introdursi negli ambienti farmaceutici milanesi, ma nessuno gli diede retta, quindi i due partirono per la Svizzera e si stabilirono a Bellinzona dove proseguirono nella loro opera. Si misero a fare proseliti e riuscirono a vendere parecchie scatole di medicinale al prezzo non proprio popolare di 25 mila lire la scatola, finché non furono espulsi dalla confederazione: le loro fiale, analizzate, risultarono essere piene di acqua solforata.

Fu a questo punto che avvenne l’incontro tra L. e la signora Delfino Sessa. L’ex-cantante capì subito che De Cavi era l’uomo del destino, colui che aveva i mezzi per dedicarsi alla fabbricazione delle fiale su larga scala. Tra i due uomini iniziò una fitta corrispondenza: L., che usava carta intestata col motto “Gesù, sola speranza”, a volte si rivolgeva al marchese col “lei” e si firmava semplicemente col suo nome; a volte invece gli dava del “tu” e firmava Gesù missionario

Dopo qualche tempo il marchese finalmente propose a L. l’acquisto delle due magiche formule. “Mi convinsi ad accettare”, disse poi questi ai giudici, “dopo che Gesù missionario parlandomi di De Cavi mi disse: “Questa è la mia linea”. Scrissi a De Cavi che la divina provvidenza aveva scelto proprio lui per la realizzazione del farmaco, e De Cavi, signori, credette. E adesso sono qui, in croce come il Signore, signor presidente…”.

Nel settembre del 1951, dopo tre mesi di trattative, l’affare venne concluso e L., in cambio delle formule, ricevette in tre rate quattro milioni e mezzo di lire ed un’apertura di credito di dieci milioni. Poco dopo i coniugi si trasferirono a Genova su invito del De Cavi che mise a loro disposizione un suo appartamento nella centrale Via Assarotti, e la storia di Gesù missionario e delle fiale cominciò a diffondersi in città. 

Il marchese, ormai preda del suo misticismo e convinto di essere stato prescelto per beneficare l’umanità, parlava con tutti del progetto, e gli aneddoti sulle sue stranezze cominciarono a moltiplicarsi: un giorno, per esempio, sarebbe stato sorpreso mentre riempiva un taccuino di dati inginocchiato davanti a un altare nella chiesa di San Matteo, un altro giorno un signore andò a casa sua per una colazione riservata  e vide la tavola imbandita per tre. “Non mi ha detto che aveva un altro ospite”, obiettò, e De Cavi: “No, no, è il posto riservato per Padre Pio. Ma è già presente, non vede che sta mangiando?”

Il banchiere fece smantellare una fabbrica per la lavorazione della lamiera che aveva a Nervi (sembra su indicazione di una lettera di Gesù missionario) e vi profuse milioni per trasformarla in un laboratorio farmaceutico, dotandola delle apparecchiature più moderne. La sua situazione finanziaria, però, andava paurosamente aggravandosi, e l’unica possibilità di riprendere quota consisteva ormai nelle fiale. In dicembre De Cavi si recò a Roma e presentò al ministero della Sanità la domanda per la fabbricazione e la vendita delle fiale: ne ebbe risposta negativa.

Fu un brutto colpo, ma non bisognava perdere la fiducia in Gesù missionario, e per questo c’erano le frequenti lettere di L. Un giorno ne ricevette una dove lesse: “Caro Giannetto, cerca di non essere troppo impaziente, perché tutto va come stabilito dal Padre mio che è nei Cieli. Ti benedico. Gesù missionario”

Pochi giorni prima di Natale i coniugi P. gli suggerirono di parlare della cosa con Mons. Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, cosa che il marchese, ormai incapace di ragionare lucidamente, fece in occasione degli auguri per le feste.

De Cavi, in verità, aveva ogni tanto dei momenti in cui tornava alla realtà: la produzione dei farmaci non andava avanti, il permesso non era stato concesso. Ma c’erano sempre, a dargli coraggio, le lettere

Un giorno, in risposta a domande e sollecitazioni rivolte a L., ricevette questo scritto. “No, non bisogna fare altre domande, perché la formula non avrebbe valore nel mondo per la convalidazione della Rivelazione. Tu comprendi che talvolta posso pure scherzare, con te come con gli altri, ma il Vangelo dice: date a Cesare quel che è di Cesare. A Roma si deve dare qualche bustarella un po’ fornita, al resto penserò io. Non hai compreso qual è il tuo dovere verso la medicina, come ti dicevo nella mia precedente? Mi spiegherò meglio e ti dirò che è ora di mettere da parte il residuo timore che hai nel subcosciente. Solo quando avrai finalmente eseguito i miei ordini sarai completamente tranquillo e tutto scorrerà pacifico. Infatti già due mesi fa ti avevo dato degli ordini che non hai eseguito nemmeno in parte: ascoltami ora e non temere. Se ho fatto dei P. i depositari di un meraviglioso segreto, credi che l’abbia fatto invano? Essi se ne sono resi degni in seguito a infinite prove e ora voglio da loro una certa quale garanzia che le mie parole non sono vane… a te ora il decidere sull’obbedienza. Saprai il resto e te ne darò i mezzi. Con la purezza del Divino Amore ti benedico”.

Evidentemente il marchese decise di obbedire agli ordini di Gesù missionario e proseguì nella corsa alle spese pazze per eliminare il cancro e la tubercolosi dall’umanità, e anche per concludere più prosaicamente l’operazione che avrebbe dovuto portare linfa alle semivuote casse del Banco e delle altre società, Ma il 31 maggio una notificazione della Curia mise le cose nei loro veri termini, avvertendo i fedeli di non prestare attenzione al portentoso medicamento di ispirazione divina.

Fu la fine delle visioni, delle lettere, delle fantasie. I coniugi P., per un certo periodo, andarono in carcere: poi sparirono, tornarono a Milano, e De Cavi rimase solo e senza incoraggiamenti celesti a cercare di fermare il tracollo, avvenuto ai primi di febbraio 1954.

De Cavi si rese latitante e venne arrestato soltanto nel luglio 1958 nella Villa Delfino di Stazzano, nei pressi di Serravalle Scrivia.

“Ma lei, De Cavi”, disse ad un certo punto il presidente del tribunale, “proprio lei che era così religioso, ha creduto anche quando Gesù missionario consigliava di corrompere le autorità di Roma con qualche bustarella?” De Cavi esitò un attimo: “No, no, questo particolare non l’ho tenuto in considerazione”

Intanto L., che era stato invitato dal presidente a controllare se le lettere di Gesù missionario allegate agli atti erano proprio sue, confermava tranquillamente: “Sì, mi sono state dettate da Gesù. Comunque, siccome mi venivano dettate e io non sapevo nulla di quel che facevo, rifaccio la firma e la confronto…” Un avvocato a questo punto gridò: “Ma si deve perdere così il tempo nel 1959?”. L., sempre serafico, allargò le braccia: “Il Signore è venuto per salvare tutti: per dare la mano a chi ne ha bisogno…”.


*su richiesta della figlia di L. P., sono stati omessi nomi e cognomi.

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