La nostra storia comincia una sera fredda e nebbiosa
dell'inverno 1947. La campagna tra Agrate Brianza e Caponago è buia e deserta,
dalla corriera scende una ragazza che si avvia con passo rapido verso la
frazione di Cascina Doppia.
La ragazza si chiama Silvia Colombo, ha una ventina
d'anni; lavora in una tessitura di Agrate, vive in famiglia, è conosciuta da
tutti come una giovane seria e religiosa, anche le pettegole più accanite del
paese non hanno mai avuto niente da dire sul suo conto.
Silvia cammina velocemente nella nebbia.
Passano poche ore e due contadini che tornano a casa
dall'osteria sentono dei lamenti provenire dai campi a lato della strada. Pochi
passi tra i gelsi, e trovano una ragazza piangente, pesta e seminuda, legata ad
un tronco. E' Silvia.
La portano a casa, a fatica i familiari riescono a farla
parlare: il racconto li sconvolge.
Mentre camminava verso casa, dal buio sono sbucati forse
due, forse tre uomini che l'hanno assalita, picchiata e derubata: poi uno di
loro non contento l'ha spogliata e violentata. Quindi è stata legata al gelso e
lasciata lì.
Vengono chiamati i carabinieri che iniziano le indagini.
Silvia viene sollecitata a cercare di ricordare qualcosa: d'accordo che era
buio, d'accordo lo spavento, ma almeno ricorderà se i suoi assalitori fossero
alti o bassi, giovani o vecchi!
Silvia è in stato di choc ma riesce tuttavia a ricordare
che il suo violentatore era giovane, molto alto, con un paio di basette.
I carabinieri passano al setaccio i pregiudicati della
zona, e presto trovano un certo Pino Gervasoni, giovanottone di un metro e
ottantacinque, già noto alla giustizia per piccoli precedenti, che ostenta un
gran paio di basettoni. Pino protesta la sua innocenza: ha un alibi, quella
sera era all'osteria con gli amici. Purtroppo questi non riescono a ricordare
se quella sera lui fosse con loro o no, inoltre non sanno a che ora è uscito
dal locale: si fa un confronto e Silvia riconosce Pino come il bruto che l'ha
assalita.
A nulla valgono le proteste di Pino: viene celebrato il
processo e il giovane prende 12 anni di carcere.
Passano sei anni.
Pino Gervasoni ha fatto ricorso in appello ma ha ottenuto
solamente lo sconto di 1 anno sul totale della pena. Continua a proclamarsi
innocente.
Silvia Colombo ha cercato di dimenticare, ma il trauma è
stato troppo forte: la ragazza si consuma in una depressione che diventa
malattia fisica e la porta in sanatorio.
Arriva il dicembre 1953 e Silvia torna a casa per le
feste di Natale.
Scende dalla corriera e si incammina tra i campi come sei
anni prima... e incredibilmente il copione del 1947 si ripete punto per punto:
un contadino la trova legata, picchiata e legata al gelso, l'accompagna a casa,
e lei tra le lacrime racconta di essere stata accerchiata da tre o quattro
uomini che l'hanno brutalizzata e abbandonata.
Il maresciallo dei carabinieri che si occupa del caso non
è lo stesso del 1947 e subito gli saltano agli occhi troppe stranezze. E'
possibile che la stessa ragazza venga assalita due volte in sei anni, dalle
stesse persone e con le stesse modalità? Forse non è impossibile. ma è molto
improbabile: chi potrebbe essere stato? Forse Pino Gervasoni a cui l'amnistia
ha condonato metà della pena e che è recentissimamente uscito dal carcere? No,
Pino è uscito di prigione tre giorni dopo l'aggressione.
Gli interrogatori si fanno sempre più stringenti,
malgrado Silvia abbia la febbre e si sia messa a letto: e finalmente la ragazza
crolla e la verità viene a galla.
Una verità impensabile: Silvia si era inventata tutto,
sia la prima volta che la seconda.
Perchè? Semplice: nel 1947 Silvia aveva avuto rapporti
con un giovanotto dei dintorni, e qualche tempo dopo un ritardo mestruale le
aveva fatto credere di essere rimasta incinta. Che fare? Il pensiero dello
scandalo, della sua buona reputazione andata in fumo, era insopportabile per la
ragazza casa-e-chiesa. Forse un film visto al cinema, oppure qualche episodio
della recente guerra di cui aveva sentito parlare le avevano dato l'idea:
fingere di essere stata violentata da uno sconosciuto, e che il bambino fosse
frutto di quella violenza. In questo modo la gente l'avrebbe commiserata
anzichè accusarla.
Aveva messo in atto il suo piano: scesa dalla corriera
aveva atteso un momento in cui nessuno poteva vederla nè sentirla, si era
spogliata, graffiata, aveva picchiato la testa contro un albero, si era quindi
legata da sè al gelso e aveva atteso il passaggio di qualcuno.
Tutto sarebbe andato liscio, non fosse stato per quelle
insistenti domande dei carabinieri, e all'ennesima richiesta di una descrizione
aveva buttato lì l'alta statura e i basettoni, le prime cose che le erano
venute in mente. Mai più avrebbe pensato che le forze dell'ordine avrebbero
trovato un poveraccio fatto proprio così!
Possiamo immaginare cosa provò quando se lo vide davanti:
poteva ancora salvarlo, dire che non lo riconosceva, ma non lo fece. Forse
temeva che i carabinieri indovinassero il suo stratagemma? Così testimoniò al
processo, senza lasciarsi commuovere dalle proteste di innocenza di Pino, e
portò la finzione fino a rifiutargli il suo perdono, necessario per la domanda
di grazia che lui voleva inoltrare.
Dopo poco Silvia si era accorta di non essere incinta.
Tutto a posto? Per niente.
Il rimorso per quello che aveva fatto aveva cominciato a
roderla sempre di più, la depressione e le crisi di pianto che i familiari
attribuivano al trauma subito si succedevano senza posa tanto da rovinarle la
salute. Avrebbe potuto risolvere tutto concedendo il suo perdono, perchè non lo
aveva fatto? forse per interpretare meglio la parte di chi ha subito un'azione
tanto efferata da non meritare perdono.
Ultimamente si era rivolta ad un sacerdote e, in
confessione, gli aveva raccontato tutto sperando in un'impossibile
comprensione, ma lui giustamente le aveva rivolto parole durissime negandole
l'assoluzione finchè non si fosse costituita alla Giustizia.
Ormai Silvia viveva in un'atmosfera irreale: non riusciva
più a distinguere la realtà dalla fantasia. Così aveva ripetuto il gesto di
tanti anni prima, come per convincersi che tutto quello che aveva raccontato
era vero, tanto vero da avvenire una seconda volta.
E Pino? Pino Gervasoni esce dal carcere dopo ben 6 anni
passati lì dentro da innocente: una fotografia lo mostra raggiante mentre tiene
in braccio la nipotina appena nata, ma i suoi sentimenti nei confronti di
Silvia si possono bene immaginare. Vuole la revisione del processo: non
sappiamo se l'abbia ottenuta, nè che fine abbia fatto, si può solo sperare che
sia riuscito a rifarsi una vita e a dimenticare la visionaria che aveva
sconvolto la sua esistenza.
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