mercoledì 26 settembre 2018

LA VISIONARIA DI CAPONAGO




La nostra storia comincia una sera fredda e nebbiosa dell'inverno 1947. La campagna tra Agrate Brianza e Caponago è buia e deserta, dalla corriera scende una ragazza che si avvia con passo rapido verso la frazione di Cascina Doppia.

La ragazza si chiama Silvia Colombo, ha una ventina d'anni; lavora in una tessitura di Agrate, vive in famiglia, è conosciuta da tutti come una giovane seria e religiosa, anche le pettegole più accanite del paese non hanno mai avuto niente da dire sul suo conto.


 
Silvia cammina velocemente nella nebbia.

Passano poche ore e due contadini che tornano a casa dall'osteria sentono dei lamenti provenire dai campi a lato della strada. Pochi passi tra i gelsi, e trovano una ragazza piangente, pesta e seminuda, legata ad un tronco. E' Silvia.
La portano a casa, a fatica i familiari riescono a farla parlare: il racconto li sconvolge.

Mentre camminava verso casa, dal buio sono sbucati forse due, forse tre uomini che l'hanno assalita, picchiata e derubata: poi uno di loro non contento l'ha spogliata e violentata. Quindi è stata legata al gelso e lasciata lì.

Vengono chiamati i carabinieri che iniziano le indagini. Silvia viene sollecitata a cercare di ricordare qualcosa: d'accordo che era buio, d'accordo lo spavento, ma almeno ricorderà se i suoi assalitori fossero alti o bassi, giovani o vecchi!
Silvia è in stato di choc ma riesce tuttavia a ricordare che il suo violentatore era giovane, molto alto, con un paio di basette.

I carabinieri passano al setaccio i pregiudicati della zona, e presto trovano un certo Pino Gervasoni, giovanottone di un metro e ottantacinque, già noto alla giustizia per piccoli precedenti, che ostenta un gran paio di basettoni. Pino protesta la sua innocenza: ha un alibi, quella sera era all'osteria con gli amici. Purtroppo questi non riescono a ricordare se quella sera lui fosse con loro o no, inoltre non sanno a che ora è uscito dal locale: si fa un confronto e Silvia riconosce Pino come il bruto che l'ha assalita.

A nulla valgono le proteste di Pino: viene celebrato il processo e il giovane prende 12 anni di carcere.

Passano sei anni.

Pino Gervasoni ha fatto ricorso in appello ma ha ottenuto solamente lo sconto di 1 anno sul totale della pena. Continua a proclamarsi innocente.
Silvia Colombo ha cercato di dimenticare, ma il trauma è stato troppo forte: la ragazza si consuma in una depressione che diventa malattia fisica e la porta in sanatorio.

Arriva il dicembre 1953 e Silvia torna a casa per le feste di Natale.
Scende dalla corriera e si incammina tra i campi come sei anni prima... e incredibilmente il copione del 1947 si ripete punto per punto: un contadino la trova legata, picchiata e legata al gelso, l'accompagna a casa, e lei tra le lacrime racconta di essere stata accerchiata da tre o quattro uomini che l'hanno brutalizzata e abbandonata.

Il maresciallo dei carabinieri che si occupa del caso non è lo stesso del 1947 e subito gli saltano agli occhi troppe stranezze. E' possibile che la stessa ragazza venga assalita due volte in sei anni, dalle stesse persone e con le stesse modalità? Forse non è impossibile. ma è molto improbabile: chi potrebbe essere stato? Forse Pino Gervasoni a cui l'amnistia ha condonato metà della pena e che è recentissimamente uscito dal carcere? No, Pino è uscito di prigione tre giorni dopo l'aggressione.

Gli interrogatori si fanno sempre più stringenti, malgrado Silvia abbia la febbre e si sia messa a letto: e finalmente la ragazza crolla e la verità viene a galla.

Una verità impensabile: Silvia si era inventata tutto, sia la prima volta che la seconda.

Perchè? Semplice: nel 1947 Silvia aveva avuto rapporti con un giovanotto dei dintorni, e qualche tempo dopo un ritardo mestruale le aveva fatto credere di essere rimasta incinta. Che fare? Il pensiero dello scandalo, della sua buona reputazione andata in fumo, era insopportabile per la ragazza casa-e-chiesa. Forse un film visto al cinema, oppure qualche episodio della recente guerra di cui aveva sentito parlare le avevano dato l'idea: fingere di essere stata violentata da uno sconosciuto, e che il bambino fosse frutto di quella violenza. In questo modo la gente l'avrebbe commiserata anzichè accusarla.

Aveva messo in atto il suo piano: scesa dalla corriera aveva atteso un momento in cui nessuno poteva vederla nè sentirla, si era spogliata, graffiata, aveva picchiato la testa contro un albero, si era quindi legata da sè al gelso e aveva atteso il passaggio di qualcuno.

Tutto sarebbe andato liscio, non fosse stato per quelle insistenti domande dei carabinieri, e all'ennesima richiesta di una descrizione aveva buttato lì l'alta statura e i basettoni, le prime cose che le erano venute in mente. Mai più avrebbe pensato che le forze dell'ordine avrebbero trovato un poveraccio fatto proprio così!

Possiamo immaginare cosa provò quando se lo vide davanti: poteva ancora salvarlo, dire che non lo riconosceva, ma non lo fece. Forse temeva che i carabinieri indovinassero il suo stratagemma? Così testimoniò al processo, senza lasciarsi commuovere dalle proteste di innocenza di Pino, e portò la finzione fino a rifiutargli il suo perdono, necessario per la domanda di grazia che lui voleva inoltrare.

Dopo poco Silvia si era accorta di non essere incinta. Tutto a posto? Per niente.
Il rimorso per quello che aveva fatto aveva cominciato a roderla sempre di più, la depressione e le crisi di pianto che i familiari attribuivano al trauma subito si succedevano senza posa tanto da rovinarle la salute. Avrebbe potuto risolvere tutto concedendo il suo perdono, perchè non lo aveva fatto? forse per interpretare meglio la parte di chi ha subito un'azione tanto efferata da non meritare perdono.

Ultimamente si era rivolta ad un sacerdote e, in confessione, gli aveva raccontato tutto sperando in un'impossibile comprensione, ma lui giustamente le aveva rivolto parole durissime negandole l'assoluzione finchè non si fosse costituita alla Giustizia.

Ormai Silvia viveva in un'atmosfera irreale: non riusciva più a distinguere la realtà dalla fantasia. Così aveva ripetuto il gesto di tanti anni prima, come per convincersi che tutto quello che aveva raccontato era vero, tanto vero da avvenire una seconda volta.



E Pino? Pino Gervasoni esce dal carcere dopo ben 6 anni passati lì dentro da innocente: una fotografia lo mostra raggiante mentre tiene in braccio la nipotina appena nata, ma i suoi sentimenti nei confronti di Silvia si possono bene immaginare. Vuole la revisione del processo: non sappiamo se l'abbia ottenuta, nè che fine abbia fatto, si può solo sperare che sia riuscito a rifarsi una vita e a dimenticare la visionaria che aveva sconvolto la sua esistenza.

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