martedì 25 settembre 2018

IL MISTERO DI DIABOLICH - 3



La storia di Diabolich era destinata a rimanere un mistero.

Nella stanza in cui il Giliberti viveva fu trovata, come già detto, una fotografia scattata a Bergamo nel gennaio 1956 che lo ritraeva in compagnia di un commilitone bergamasco, tale Aldo Cugini, e riportava una dedica scritta da quest’ultimo. Le perizie calligrafiche stabilirono che fra la scrittura del Cugini e quella delle lettere di Diabolich c’era una notevole affinità; il Cugini quindi fu fermato, trasferito alla Questura di Torino e sottoposto ad un interrogatorio durato 36 ore.

Il giovane aveva potuto dimostrare che, il giorno in cui Giliberti era stato assassinato, lui si trovava a Orzinuovi per affari (lavorava come rappresentante per l’azienda del padre, un commerciante di materiali edili) e le indagini subito svolte presso i suoi clienti avevano confermato la veridicità delle sue affermazioni; era rincasato alle 17 e si era recato a far visita alla fidanzata che abitava a Bergamo. 

Anche per l’altra giornata sulla quale si appuntava l’attenzione della polizia Cugini aveva un alibi perfetto: si trovava a Vercelli da un suo cliente, che ovviamente confermò tutto.

Queste prove avrebbero dovuto farlo scarcerare immediatamente, ma non fu così. Gli inquirenti sostenevano che gli altri biglietti, quelli con i giochi enigmistici, li aveva scritti lui in carcere, facendoli spedire poi da qualcuno non si sa come.

La polizia sosteneva che il Cugini fosse stato visto a Torino nei giorni del delitto, e il giovane fu messo a confronto con tre testimoni

Uno di questi, davanti a lui, confermò di averlo visto passare sotto i portici di Porta Nuova, cioè in uno dei punti di maggior transito pedonale della città. L’avvocato del Cugini, presente al confronto, gli chiese: “Ma lei lo aveva visto altre volte in precedenza?” “No,” fu la risposta, “era la prima volta”. “E lei, guardando la fotografia di uno sconosciuto,” ribatté l’avvocato, “è sicuro che lo vide in un determinato giorno fra migliaia di altri passanti sconosciuti?”. L’uomo rimase esitante, poi disse. “Mi sembra di averlo visto, ma posso anche sbagliarmi”

Il secondo testimone riteneva che Cugini fosse seduto al suo fianco nella platea del cinema Ideal; il terzo l’aveva visto – secondo lui – al mercato di Porta Palazzo.

Poiché il giudice istruttore aveva respinto la domanda di scarcerazione, gli avvocati del Cugini tentarono la via del ricorso, che rese necessaria una controperizia di parte. Il perito scelto dai difensori contraddisse ogni affermazione dei consulenti del tribunale, dimostrando che centinaia di giovani scrivevano come lui scriveva, per cui anche la loro calligrafia poteva essere scambiata per quella di Diabolich

L’avvocato generale della Procura, esaminando i motivi del ricorso, concluse che non si poteva tenere un uomo in stato di detenzione soltanto per una rassomiglianza di calligrafie, e Cugini fu scarcerato.

Perché ci si accanì così tanto su Cugini? 

Si parlò, all’epoca, di una “amicizia particolare” tra lui e Giliberti (sospetto non suffragato, a quanto pare, da nessuna prova), come se una fotografia con dedica, scattata, oltretutto, dalla fidanzata del Cugini, fosse stata sufficiente a suscitare simili sospetti; possiamo anche immaginare che la pressione dell’opinione pubblica, della psicosi che si era creata a Torino intorno alla figura dell’assassino misterioso, abbia forzato la mano della polizia spingendola a trovare un colpevole ad ogni costo.

Il delitto di via Fontanesi 20 rimane tuttora impunito.

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