LA VITA DI WILMA NON POTEVA AVERE SEGRETI
Articolo di Giuseppe Montesi da “Oggi” n. 17 del
29/4/1954
- seconda parte -
Il venerdì 10 aprile riprendemmo le ricerche alle 7 del
mattino. Visitammo tutti i luoghi già esplorati la sera innanzi; in questura,
sollecitammo le ricerche. In mattinata Rodolfo telefonò a Potenza per avvertire
Giuliani, non lo trovò in sede, e la trascrizione della telefonata, la cui
sostanza era “Wilma è scappata di casa”, fu scambiata dai giornali per un
telegramma. Giuliani, venuto a conoscenza dell’avviso, telefonò a Roma a sua
volta per avere notizie e per spiegare che il suo comando non riteneva quella
espressione sufficiente per permettergli di partire. Allora Rodolfo aggravò di
proposito il testo della telefonata successiva, dicendo: “Prevedesi suicidio,
vieni subito”. L’espressione, ripresa dai giornali e confrontata con la
precedente, generò un primo equivoco.
Viceversa, a Roma, dal venerdì al sabato, la nostra
aspettativa divenne meno tragica. Facemmo infatti la congettura che Wilma non
fosse rimasta vittima di una disgrazia e che non si fosse nemmeno suicidata. Da
una parte, infatti, pensavamo che fosse già trascorso il tempo sufficiente per
scoprire la sua salma, dall’altra avevamo scoperto, interrogando Wanda, che
Wilma era rimasta infatuata anni prima di un professore di Rocca di Papa,
durante i consueti soggiorni estivi della famiglia nella casetta che Rodolfo
aveva acquistato in paese. Si trattava di una persona molto più anziana di lei
e già sposata, ma l’età di Wilma al tempo dell’infatuazione (quindici anni)
diceva chiaramente che si trattava di un sentimento tipicamente giovanile, mentre
sapevamo che la persona non ci aveva fatto nemmeno caso.
Tuttavia, la domenica mattina, molto presto per non dover
spiegare il particolare a Giuliani in arrivo da Potenza, Sergio, la mia
fidanzata ed io ci recammo in macchina a Rocca di Papa, rintracciammo il
professore, con un lungo giro di parole chiedemmo se per caso avesse visto
Wilma in quei giorni, ma capimmo subito che l’uomo cadeva dalle nuvole. Perciò
tornammo a Roma in tempo per sapere che il cadavere della mia povera nipote era
stato ritrovato e giaceva all’obitorio, dove già mio fratello l’aveva
riconosciuto.
In casa nostra Torvaianica non si sapeva neppure dove
fosse. Rodolfo, Sergio, Giuliani ed io, con la mia macchina, ci andammo il lunedì
pomeriggio. La gente del luogo ci disse come la salma di Wilma era stata
ritrovata: fresca, composta, non sembrava quella di un’annegata. Con l’assistenza
di una guardia di finanza Giuliani cercò di condurre l’indagine. Cercavamo il
reggicalze, le calze, le scarpe, la borsetta mancanti. Ritenevamo infatti che
gli oggetti fossero già stati asportati dai vagabondi che perlustrano
quotidianamente quei corsi d’arenile. Ci dissero che sulla spiaggia, in
direzione di Ostia, esistevano delle piccole anse dove la corrente trasportava
da sud i relitti, ma rinunciammo a raggiungerle.
Giuliani scoprì il particolare della 1900 con a bordo la
coppia che il giovedì era stata vista nei pressi della spiaggia, ma quando,
fatto un largo giro e penetrati in un recinto che tuttora non so se fosse
quello di Capocotta, domandammo a un guardiano, questi escluse che la ragazza
dell’auto fosse la stessa di cui Giuliani mostrava la foto. Aggiunse invece che
il giovane al volante della 1900 era un principe di casa Savoia, il quale poi
era tornato sul posto con la stessa ragazza nei giorni successivi.
Comunque, alla fine di quella drammatica giornata, noi
eravamo convinti che Wilma fosse stata assassinata. Wilma, pensavamo poteva
aver raggiunto quella spiaggia deserta solo in compagnia di qualcuno e a bordo
di un’auto.
La supposizione della gita a Ostia, che Wanda aveva
elencato nei giorni precedenti, era nel frattempo tornata in ballo; ma apparve
in tutta la sua consistenza soltanto quando la professoressa Rosetta Passarelli
si presentò a casa di Rodolfo per testimoniare d’aver visto Wilma, serena e
allegra, sul treno per ostia tra le 17.30 e le 18 del fatale giovedì. Si
concretizzò allora l’ipotesi del pediluvio, che può apparire strana, ma in
realtà è verosimile.
Wilma aveva comprato da poco un paio di scarpe nuove,
alle quali teneva molto; le scarpe le avevano prodotto sul calcagno una
escoriazione; Wilma aveva cercato di eliminare l’inconveniente mettendo un
rialzo nelle scarpe e inserendo dell’ovatta fra la scarpa e il calcagno. A un
certo punto, incautamente, credette di guarire l’escoriazione con la tintura di
iodio: naturalmente il fastidio crebbe e la madre le disse che semmai poteva
giovarle l’iodio marino, non quello farmaceutico, e così Wilma aveva
manifestato più volte il proposito di andare a Ostia, e lo ripeté anche il
giorno della scomparsa. Ma, ripeto, alla gita a Ostia sul principio non si era
dato peso, perché le abitudini sia di Wilma che di Wanda non consentivano di
supporre che Wilma si fosse recata a Ostia sola. Se c’era andata lo aveva fatto
sapendo di commettere una scappatella che avrebbe messo in ansia i genitori.
In ogni modo ci recammo a Ostia per raccogliere degli
eventuali indizi. Fu Rodolfo a raccogliere la testimonianza della bambinaia che
si dice sicura di aver visto Wilma sostare sul tratto di spiaggia libera
adiacente a quella riservata agli allievi della Guardia di Finanza. Alla
capitaneria di porto apprendemmo che difficilmente una salma avrebbe potuto
percorrere anche in 30-36 ore i quattordici o più chilometri fra l’arenile di
Ostia e quello di Torvaianica, ma che tuttavia la cosa non era impossibile:
tempo addietro un bagnino era annegato e la sua salma aveva percorso all’incirca
il medesimo percorso.
Certamente, a questo punto, le nostre perplessità
aumentarono. La nostra capacità di indagare e di riflettere era, del resto,
minorata dall’angoscia e dal pensiero dei funerali imminenti e dallo stato di
prostrazione in cui si trovava mia cognata. Rientrammo a Roma. Rodolfo era
sconvolto, Giuliani più di lui. Una lettera anonima, ritirata da Sergio in
portineria, diceva esattamente così: “Piuttosto che darla a un cane di
poliziotto l’ho ammazzata. E presto ci sarà un’altra Wilma”. Wanda era
atterrita, Giuliani fu colto da un attacco di nervi, Rodolfo e Sergio dovettero
trattenerlo.
È passato più di un anno dalla scomparsa di mia nipote. È
naturale che, con tutto quel che è successo, nella mia famiglia si siano
riesaminate tutte le ipotesi, vagliate tutte le supposizioni nuove, considerate
tutte le “verità” affiorate in maniera più o meno ortodossa. Ed è naturale che,
a poco a poco, noi ci siamo orientati in un certo senso, senza per questo abbandonarci
a una convinzione assoluta, poiché gli elementi in nostra mano possono essere all’incirca
quelli di cui dispone l’autorità inquirente.
Debbo innanzi tutto dichiarare che nella mia famiglia la
vicenda Caglio/Montagna/Piccioni/Bisaccia è considerata una sovrastruttura
estranea ai motivi che possono aver portato alla morte di Wilma. È estremamente
improbabile, anzi romanzesco, che Wilma possa aver conosciuto una qualunque di
quelle quattro persone. Wilma era una ragazza modesta, così timida da trasalire
a un semplice complimento. Il suo modo di vestire, di comportarsi, di parlare,
tradivano la modestia dell’ambiente in cui era nata e viveva e non potevano
essere certamente elementi bastanti per suscitare l’interesse di un Montagna o
di un Piccioni.
Debbo anche aggiungere che ella, in persona, era meno
appariscente di quanto si giudicò dalle foto col maglione bianco o con la
collana che furono pubblicate su tutti i giornali alcuni giorni dopo la sua
morte. Quelle foto facevano parte di una serie “in posa” che Wilma si fece fare
per spedire al fidanzato e che, per la luce o per il ritocco, diede al suo
volto una espressione enigmatica che in realtà non aveva, ma che contribuì
fortemente a impressionare l’opinione pubblica. In altre foto invece Wilma appare
com’era: una bellezza più casta.
Egualmente, nella mia famiglia, vengono considerate
sovrastrutture (non sappiamo se motivate da patologico desiderio di pubblicità
o da motivi più oscuri e disonesti) le “verità” addotte da altri vari
personaggi come Pierino Pierotti, Francesco Tannoja, Maddalena Caramello,
eccetera. In casa nostra appare fantastica l’ipotesi che Wilma s’intendesse o
trafficasse in stupefacenti; ed anche per quel che riguarda le lezioni d’inglese
che Wilma avrebbe preso in ambienti misteriosi, non sapremmo a quali necessità
di Wilma dovessero essere legate, dato che il padre era dichiaratamente
contrario a collocare le figliole in un impiego e lei stessa, per natura,
preferiva stare in casa.
La verità dunque, secondo le nostre convinzioni, dovrebbe
essere ricercata fuori dalla sovrastruttura Caglio, fuori dalla deviazione
degli stupefacenti e fuori da altri ambienti misteriosi ed equivoci.
Esaminiamo l’ipotesi del suicidio. Innanzi tutto, se
Wilma avesse voluto uccidersi, avrebbe scelto un luogo più vicino, un mezzo più
semplice o il Tevere. In secondo luogo a nostro parere Wilma non aveva motivi
per suicidarsi. Per Giuliani portava probabilmente dell’affetto, ma i segni
della sua lealtà verso di lui si erano manifestati in varie occasioni: tra l’altro,
a domanda di Giuliani disse che lo avrebbe seguito anche in Australia, se lui
avesse avuto modo di realizzare questo suo vecchio proposito. E il bracciale,
la collana, la fotografia furono lasciati a casa, con ogni probabilità, sia per
non dare nell’occhio trovandosi a viaggiare sola, sia per quel senso di
meticolosa cura che Wilma poneva nel custodire gli oggetti di valore e nel
preservarli dagli ambienti come la spiaggia, dove potessero andare perduti o
sciupati. Non manifestò inoltre nella giornata del 9 aprile dei motivi di
depressione: s’interessò al suo corredo, mangiò con appetito, canticchiò seguendo
la radio. Wilma non può essersi suicidata a meno che non sia stata colta,
improvvisamente, da un inspiegabile collasso psichico.
L’ipotesi dell’omicidio, volontario, colposo o
preterintenzionale, è più complessa. Noi la formulammo per la prima volta a
Torvaianica, per trascurarla dopo che la professoressa Passarelli ci assicurò
di aver visto Wilma sul treno per Ostia. Wilma poté essere vittima di qualcuno
che volesse approfittare di lei? Noi non possiamo in senso assoluto escluderlo,
ma gli elementi che ci fanno fortemente dubitare di questa supposizione sono
numerosi. Secondo la perizia ordinata dalle autorità e la controperizia
presentata dal professor Pellegrini, Wilma avrebbe dovuto consentire a qualcuno
di condurla in auto sul posto o nelle immediate vicinanze.
Ma Wilma non aveva segreti. La sua vita sentimentale era
trasparente come il vetro, le sue confidenze alla sorella e alla madre
complete, tanto è vero che della vecchia e innocente infatuazione di Wilma per
il professore di Rocca di Papa era al corrente perfino il fratello Sergio. È
possibile che Wilma custodisse un segreto più grosso, che non avesse confidato
mai ad alcuno? Questa supposizione è estremamente improbabile. Il carattere, le
abitudini, gli atteggiamenti di Wilma negli ultimi giorni dovrebbero farla
escludere. Nessuno in casa crede che la nostra Wilma conducesse una doppia
vita. Se qualcuno la condusse in riva al mare dovette farlo con la forza o con
l’inganno. Se qualcuno aggredì Wilma a Ostia dovrebbe trattarsi di un bruto,
che agì di sorpresa. Si potrebbe anche immaginare che Wilma sia stata adescata
sul posto da una donna, la quale sia riuscita con maniere insospettabili ad
assicurarsi la sua fiducia con scopi personali o su incarico di altri; si
tratta di un’ipotesi estrema. Wilma non era tipo da lasciarsi avvicinare da persone
sconosciute, soprattutto uomini.
La supposizione verso la quale propende tuttora la nostra
famiglia è quella della disgrazia. Un complesso di ragioni, di indizi, di
sfumature forse impalpabili dall’osservatore esterno riconducono costantemente
i componenti della famiglia a questa convinzione: Wilma andò sola sulla
spiaggia di Ostia, in un tratto che non è stato possibile determinare, e vi
morì annegata per un malore improvviso o per un incidente istantaneo. Per
questa ragione nell’acqua non si dibatté, non bevve e il corpo poté mantenere
la straordinaria freschezza con cui fu ritrovato. Il tragitto da Ostia a
Torvaianica fu compiuto dalla povera salma in tempo che è stato giudicato
relativamente breve; ma esso fu forse trasportato dalle onde in burrasca prima
al largo, dove poté essere preso sul filo della corrente, e poi trasportato a
sud.
Wilma andò veramente a Ostia per un pediluvio, per
guarire del piccolo inconveniente al calcagno? Lo riteniamo tuttora probabile.
Ma vi potrebbero essere altri semplici, spontanei motivi persi ormai nel
colossale castello delle ipotesi verosimili, romanzesche o interessate. Per
esempio, il desiderio di fare una gita, col rischio calcolato di far inquietare
papà Montesi: rimasta sola in casa l’idea della gita può essere apparsa a Wilma
come una piacevole, attraente novità, ed anche come un piccolo significativo gesto
di rivolta all’autorità paterna. Forse, con quel gesto, intendeva ricordare al
padre di avere superato la maggiore età. Tempo addietro aveva chiesto a Wanda e
a Sergio, con una certa curiosità, quando una donna, secondo la legge, dovesse
considerarsi maggiorenne, e Wilma aveva compiuto i ventun anni da pochissime
settimane: esattamente il 3 febbraio 1953.
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