Dal gennaio 1950, quasi ogni giorno, parte da Milano una
lettera “raccomandata-espresso” indirizzata a: Papa Pacelli, Città del
Vaticano, Roma, Italia. L'indirizzo è scritto a macchina e in un angolo della
busta, in rosso, c'è la dicitura: “riservata-personale”.
Sono lettere molto importanti, almeno questa è l'opinione
del mittente, il signor Pollini Amilcare Pietro Angelo. Importanti e
confidenziali, paterne possiamo dire, non prive di una certa affettuosa
severità e di qualche rabbuffo. Amilcare Pollini le batte a macchina
personalmente, in due copie con la carta carbone, e una copia la spedisce,
l'altra la conserva con cura. Una di quelle lettere, in data 22 gennaio, ad un
certo punto dice: “Che cosa aspetti dunque, Pacelli, figlio mio diletto, a
venire da me come ti ho ripetutamente ordinato e a portarmi le chiavi di San
Pietro? Non ascoltare i cattivi consiglieri che ti dicono di non venire, fa il
tuo dovere, Pacelli, altrimenti va a finire che mi arrabbio”.
Le lettere alternano brani prosaici come quello
riportato, a voli ispirati e vaneggianti, con qualche apocalittica invettiva.
Ripetono tutte lo stesso concetto: il Papa deve lasciare Roma, recarsi a
Milano, consegnare le chiavi di San Pietro al signor Pollini Amilcare, nuovo
messia. Contengono anche istruzioni dettagliate per il viaggio. Già da tre o
quattro anni Amilcare Pollini scrive lettere al Pontefice, prima assai
raramente, e solo da un paio di mesi ha cominciato a scriverne con sempre
crescente abbondanza.
In dicembre lanciò un terribile ultimatum: il Papa doveva
partire da Roma, per Milano, entro la mezzanotte del 31 dicembre 1949; mezzo di
locomozione a scelta: treno, aeroplano, automobile o bicicletta; pena in caso
di non obbedienza, l'incenerimento immediato della basilica di San Pietro. Trascorso
dicembre e visto che il Papa non era partito né aveva risposto all'ultimatum,
Amilcare Pollini ha deciso di concedere una proroga e ha scritto in questi
termini: “Bene hai fatto, Pacelli, a non venire. Hai compreso che l'umile
pecorella non va dal Pastore e che il figlio non va dal Padre suo, comodamente
seduto in prima classe o in vagone letto. Ti concedo quindi di partire a piedi
entro il 31 gennaio 1950. Non temere per la tua salute. Io penso a tutto e ti
ho concesso un inverno mite per agevolarti. Tu percorrerai sette chilometri al
giorno e, come vedi, avrai il tempo di riposar, mangiare, dormire e dire la
messa ogni mattina. Arriverai a Milano il primo maggio e io della festa del
lavoro profano farò anche la festa del lavoro sacro”.
Terminato gennaio Amilcare Pollini ha concesso una
ulteriore proroga al Papa: egli potrà partire, a piedi, entro il 13 febbraio.
Dovrà però percorrere otto chilometri al giorno anziché sette: quello che conta
è giungere a Milano puntualmente il primo maggio.
Amilcare Pollini non si limita però a scrivere lettere al
Pontefice. Egli lavora in un vasto ufficio di via Torino 47, a Milano,
quattordici, sedici ore al giorno. Ha anche un paio di impiegati, ma le
faccende più delicate se le sbriga da sé. Queste sono per lui settimane di
attività febbrile: si prepara a scatenare la grande offensiva.
Ogni giorno
spedisce in giro per il mondo centinaia e centinaia di manifestini scritti in
cinque lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo. In tali
manifestini egli si proclama nuovo messia e nuovo papa, salvatore dell'umanità.
Li spedisce ai governanti, agli uomini politici, ai giornalisti, ai religiosi,
agli studiosi di tutto il mondo: a tutti ordina di radunarsi il primo maggio a
Milano, dove il Pontefice Pacelli dovrà consegnare al nuovo pontefice Pollini
le chiavi di San Pietro. Poi tutti insieme se ne andranno a Roma.
Pollini ha speso dal primo dicembre a oggi, per la stampa
e la diffusione dei suoi manifestini, circa tre milioni di lire. Ne ha stampati
già di duecento tipi e continua a sfornarne quotidianamente, a migliaia di
copie per ogni nuovo tipo.
Sono, per lo più, a quattro pagine, combinati con
laboriosi fotomontaggi. Generalmente presentano, sullo sfondo, le più famose
chiese italiane sovrastate dal volto del nuovo messia con gli occhi ispirati,
la barbetta, i capelli lunghi fino alle spalle come si s'addice ad un messia
che si rispetti. Sovente le basiliche sono sovrastate dai volti di altri due
personaggi, un vecchio barbuto e una donna sorridente, di cui parleremo più
avanti. Oltre alle immagini, ci sono delle frasi strabilianti, insensate e
categoriche. Le parole sono scritte in modo curioso, quasi tutte spezzettate,
divise da trattini, come queste scelte a caso fra tutte: “Sì, la Chi-e-sa
catt-olica si unisce alle chiese pro-test-anti riaccendendo la fiamma
uni-ver-sale Ecclesia di Cri-sto”.
Proprio in queste parole spezzettate sta tutta la
sostanza della dot-trina, della straordinaria teoria di Amilcare Pollini. Egli
afferma “ogni parola rivela la sua funzione” ed anche “la lotta tra Dio e il
Demonio si nasconde nelle parole”. E così, col tono di chi ha scoperto
l'universo, in uno dei suoi manifestini, indirizzato al Vescovo di Milano,
esclama: “Tu, Ves-covo, esci dal tuo covo ves-satorio, proclama che Cristo è
tornato e trasforma così il tuo vizio vesco-vile in virtù vesco-vale. Lo stesso
dico ad ogni parroco re-calci-trante” (cioè, tirante calci al re).
E' l'ossessione delle sciarade, dei giochi di parole,
spinta fino all'estremo limite e frammischiata a confusi e disparati frammenti
di erudizione e filosofia.
La “rivelazione folgorante” il Pollini l'ha avuta alcuni
anno fa quando, considerando le iniziali del suo cognome e dei suoi tre nomi
(Pollini Amilcare Pietro Angelo), ha scoperto che formavano la parola P.A.P.A.
Esaminando poi attentamente il suo primo nome, A-mil-ca-re (ora lo scrive
sempre così) ha scoperto che abita (A) da un millennio (mil) nella casa (ca)
del re (re). Ha considerato quindi la famosa faccenda del “mille e non più
mille”. L'ha interpretata così: ogni mille anni cambia disco, viene un nuovo
messia. Ed ecco che lui, A-mil-ca-re, non può essere altro che il messia del
millennio in corso.
Giunti a questo punto non c'è più da meravigliarsi di
nulla. Ecco infatti che Pollini, in uno dei suoi innumerevoli manifestini,
dichiara categoricamente: “Sì, il Duomo di Milano sono io!”
L'affermazione può lasciare perplessi i non iniziati. Ma
Pollini si spiega subito in modo più che esauriente: il Dio-uomo (il D-uomo)
dei mille anni (di Mil-an) è lui, non c'è alcun dubbio. Chiaro come la luce del
sole.
Amilcare Pollini vive ora completamente sommerso in
queste sue strane teorie. Si esalta ogni volta che ha una delle sue intuizioni.
Con gli occhi fiammeggianti lancia il suo nuovo messaggio: “Sì, al Giud-izio di
Giud-a si sostituisce la Giusti-zia del Giu-sto!” e subito, febbrilmente, con
forbici, colla, inchiostro di china, prepara un nuovo manifesto da dare alle
stampe. Su ogni parola costruisce complicati castelli in precario equilibrio.
Tuttavia, a guardare attentamente in quella accozzaglia
di insulsaggini, si scoprono tutti i motivi di una patetica e dolorosa vicenda
familiare che gradatamente ha portato Amilcare Pollini alle sue teorie attuali.
Egli ha ora 45 anni, è mingherlino, dimesso nel vestire: ha un aspetto
sufficientemente normale, a prescindere dalla lunghissima capigliatura. Dieci,
quindici anni fa era un editore di un certo nome: per moltissimi anni ha
compilato e stampato la famosa “Guida Pollini per gli Industriali”, un grosso
volume a carattere pubblicitario, con la quale ha guadagnato i milioni che ora
va sperperando. Successivamente, durante la guerra, ha cominciato a scrivere
opuscoli e volumi, pubblicandoli sotto il nome di Pinco Pallino, e dibattendo
in essi, con una certa confusione, problemi sociali, esponendo teorie vagamente
marxiste.
E' nato nel 1905 a Germignaga, presso Luino, da Ercole
Pollini e Bonaventura Bia (quanti significati, ora, in quei nomi!). Nel 1938
sposò Gina Azzario, di tredici anni più giovane di lui, figlia del
rivoluzionario marxista Eugenio Isidoro Azzario. La moglie e il suocero
diventarono parte integrante e ossessionante della sua vita.
La moglie,
ammalata di tubercolosi un anno dopo il matrimonio fu ricoverata in un
sanatorio. Il suocero aveva avuto una esistenza burrascosa, aveva subito, al
sorgere del fascismo, un processo politico, era stato in carcere e al confino,
aveva vissuto in Russia e in America Latina. Quando entrò nella vita di
Amilcare, aveva già la mente agitata da complicatissime e astruse teorie
astronomiche: Pollini ne rimase influenzato e sconvolto. In quel periodo
cominciò a scrivere i libri di Pinco Pallino, libri che il suocero rivedeva e
correggeva. Gina ogni tanto usciva dal sanatorio, ma dopo qualche mese era
costretta a ritornarci.
Nel 1944 Pollini pubblicò un libro del suocero intitolato
Assalto alla Luna e firmato con lo pseudonimo “5 ex”. Nella prefazione lui
stesso scriveva: “Prima di pubblicare questo libro ho esitato cinque anni, e
per cinque anni mi sono chiesto: il suo autore è un pazzo o un genio? Ancora
non ho trovato la risposta, e tuttavia ho deciso di passare alla stampa il
manoscritto integrale”. Pollini aveva ancora – come si vede, una discreta
autocritica, ma ormai stava scivolando lui pure su un pericoloso piano
inclinato, e un giorno ebbe una rivelazione folgorante: il suocero si chiamava
E-u-genio (E' un genio). Un genio, dunque, non un pazzo. La rivelazione era
finalmente venuta. Il suocero si chiamava anche Isid-oro: aveva quindi in sé
“la sapienza di Iside dea della sapienza e di Oro dio dell'amore”. E non è tutto:
si chiamava anche, di cognome, A-zz-ario, “ossia Ario dalla A alla Z”.
Amilcare Pollini precipitava ormai vertiginosamente. Chi
poteva fermarlo? In una notte d'incubo comprese che il suocero altro non era se
non il suo-cero. Dunque, colui che doveva illuminarlo, il maestro, la guida, il
padre celeste. E sua moglie, che si consumava in sanatorio, si chiamava Gina, e
siccome lui era il Re, lei era la Gina del Re, la Re-Gina celeste. Era la
Donnina ma-lata, la Donnina del Ma, la Ma-Donnina.
Gina Azzario si spense il 15 giugno 1948 nel sanatorio di
Prasomaso. Ma ora la sua immagine sorridente, l'immagine della Ma-Donnina,
della Re-Gina, è su tutti i manifestini compilati e stampati dal nuovo messia,
sovrasta le cattedrali, insieme all'immagine di Eugenio Azzario, il quale vive
tranquillamente a Germignaga e ogni tanto fa una scappata a Milano per
abbracciare il genero e dissertare con lui, e a quella di Amilcare Pollini.
Essi sarebbero, secondo Pollini, le persone della Nuova Trinità.
Ma la storia dell'ex editore non è finita. Su alcuni
manifestini c'è anche l'immagine di una bimba di cinque o sei anni. A chi lo
interroga in proposito Pollini risponde: “Ci sono due Marie, non è vero? La
Maria Santa e la Maria Maddalena peccatrice. Quando la Ma-Donnina, la Maria
Santa, era in sanatorio, io, che sono il vero dio ma anche il vero uomo, il
vero maschio, ho incontrato la Maria Maddalena che si è innamorata follemente
di me. Come mi chiamo io? Mi chiamo Pollini. E' quindi evidente che la mia
missione è quella di dare il polline fecondo, di impollinare. Ho dunque
impollinato la Maria Maddalena e così è nata la bimba”.
Questa è ormai la vita di Amilcare Pollini e questa è la
sua religione. Lavora febbrilmente e coi suoi manifestini lancia anatemi: “Tu,
De Ga-speri, che cosa speri? Non sai che chi vive De-Ga-sperando muore
cantando?”, “Tu, Tru-man, sei l'uomo del tru-cco all'americana. Infatti il
TRU-cco c'è MA N-on si vede”.
Ma scrive specialmente, in questi giorni, al Santo Padre.
“Parti dunque, Pacelli, portami qui a Milano le chiavi di San Pietro, assolvi
la missione che io ti ho affidato e che è quella di portare la pace tra elli.
Vieni a Milano il primo maggio a piegare il gin-occhio davanti all'occhio di
Gina, altrimenti busserai invano alla porta del Paradiso”.
E' sicurissimo che il primo maggio il Pontefice giungerà
puntualmente a Milano. “E se non venisse?” La domanda lo coglie di sorpresa,
poi esclama: “Verrà, verrà, perché non dovrebbe venire?” “Ma se non venisse?”
Amilcare Pollini medita un istante prima di rispondere, poi con gli occhi
spiritati grida: “Se non viene il Papa, verrà Stalin. Scrivetelo sui giornali,
ditelo al mondo!”
All'improvviso tace, folgorato da una nuova rivelazione.
“No”, dice, “Sta-l-in non può venire perché lui sta là in Russia e non si può
muovere. Ma non importa: dite che, se Pacelli non viene da me, io vado da
Stalin”.