HO VISTO WILMA MONTESI LA SERA PRIMA DELLA SCOMPARSA
Articolo di Mariella Spissu (fidanzata di Giuseppe
Montesi, zio di Wilma) da “Oggi” n. 41 del 14 ottobre 1954
Sono certa di interpretare lo stato d’animo di Giuseppe
Montesi, il mio fidanzato, dicendo che egli è profondamente amareggiato ma non
abbattuto e nemmeno preoccupato per le supposizioni che, chissà come, sono nate
in questi ultimi giorni attorno alla sua persona. Secondo queste supposizioni
egli sarebbe stato in qualche modo coinvolto nelle circostanze che portarono
alla tragica fine della povera Wilma. Secondo certuni dovrei addirittura
ritenere che fra il mio fidanzato e Wilma corresse qualcosa di più del normale
rapporto d’affetto tra zio e nipote. Se la gente, intendo dire la gente che non
conosce me e Pino Montesi, avesse potuto seguire mese per mese i nostri dodici
anni di fidanzamento, troverebbe veramente fantastiche simili supposizioni.
Pino e io abbiamo la stessa età, ventinove anni. Nel
1942, quando avevo diciassette anni, ero impiegata come contatrice di carte
valori presso l’Istituto Poligrafico dello Stato. C’era la guerra, era stata
fatta la mobilitazione, e molti giovani erano stati assunti al posto degli
anziani richiamati alle armi. Pino dipendeva dal ministero del tesoro ed era
stato distaccato presso il Poligrafico, come controllore ispettivo. Svolgevamo
le nostre mansioni nel medesimo ambiente e nacque subito fra noi viva simpatia.
Pino mi ispirava fiducia perché era un ragazzo franco, aperto, cordiale.
Dopo la guerra cominciammo a frequentarci in famiglia.
Pino abitava con i suoi genitori, due fratelli e una sorella tutti più anziani
di lui, nella stessa casa dov’era nato, in via Alessandria. La casa, composta
di alcune camere distribuite in due piani, era vicina all’Istituto dove
lavoravo, ed anche per questa ragione presi l’abitudine di passare con i
familiari di Pino delle lunghe ore. Dell’altro ramo della famiglia, quello cui
apparteneva la povera Wilma, in casa si parlava ben poco; Pino stesso non aveva
più avuto occasione di vedere la cognata e le nipoti da quando era un ragazzo
di undici o dodici anni. A quell’epoca Wilma e Wanda erano ancora bambine.
Nel 1952, dopo dieci anni che conoscevo Pino, vidi per la
prima volta Wilma. Le due famiglie si erano riaccostate un poco ad iniziativa
della madre di lei. Un giorno Pino e io andammo con la “Topolino” a prendere la
sorella di Pino al portone di via Tagliamento, dove abitava Rodolfo Montesi, ed
ecco comparire Maria Montesi con le due figliole al braccio, una di qua e una
di là. Mi ricordo che Wilma portava i capelli raccolti sulla nuca ed indossava
un abito scuro. Ebbi l’impressione che non fosse una ragazza facile alle
confidenze; dopo aver scambiato i convenevoli ci lasciammo. Il mio fidanzato,
come ho detto, non vedeva le nipoti da moltissimi anni, e la verità è questa:
che Pino vide Wilma altre due sole volte prima della tragica morte di lei
nell’aprile ’53.
La seconda volta fu quando Pino accompagnò con la
“Topolino” i suoi genitori a casa di Rodolfo, e restò a cena con loro. Fu una
riunione del tutto familiare, che contribuì a sciogliere la vecchia
incomprensione tra le due famiglie.
Per la terza e ultima volta Pino vide sua nipote la sera
in cui Rodolfo e Maria Montesi si recarono in via Alessandria per presentare ai
nonni il fidanzato di Wilma, Angelo Giuliani. Era una sera dell’inverno 1952,
attorno a Natale. Le presentazioni furono un po’ impacciate, come avviene
spesso in simili occasioni, ma Giuliani se la cavò con sufficiente
disinvoltura. Wilma mi parve tranquilla e contenta; mi mostrò l’anello di
fidanzamento che Giuliani le aveva regalato, parlammo un poco del corredo che
lei stava preparando.
Pino, che come al solito era in giro con la vetturetta,
sopraggiunse quando avevamo già finito di cenare, e quando Giuliani notò che
era tardi e doveva rientrare nella sua sede a Marino, la madre di Wilma
insistette perché si trattenesse ancora un poco, e pregò Pino di accompagnare
Giuliani all’autostazione con la sua “Topolino”. Andammo in quattro: Pino e
Giuliani seduti davanti, io e Wilma dietro. E quella fu l’ultima volta che il
mio fidanzato vide sua nipote.
Io, invece, la vidi o meglio la intravidi proprio la sera
prima della sua scomparsa, l’8 di aprile 1953. Da un paio d’anni ho lasciato
l’impiego a causa di una malattia, e passo buona parte della giornata ad
aiutare nelle faccende di casa la mamma di Pino. Quella sera stiravo delle
camicie, udii la mamma di Pino parlare con qualcuno dalla finestra: erano Maria
Montesi con Wilma e con Wanda. Non entrarono in casa: erano perfettamente
tranquille e se ne andarono subito.
Il giorno dopo, 9 aprile, scoppiava la tragedia. Quel
giorno Pino compì normalmente il suo lavoro, al mattino andò al ministero del
tesoro e alle due tornò a casa per mangiare. Nel pomeriggio si recò presso una
tipografia dove si occupava e si occupa tuttora di contabilità. Stette in giro
per i soliti incarichi, come al solito. Rientrò per l’ora della cena, prendemmo
un caffè, forse giocammo pure a carte secondo una nostra abitudine, poi Pino mi
accompagnò con la vetturetta a casa mia. Rientrato sui tardi in via Alessandria
e trovata la famiglia in allarme in seguito alla telefonata di Rodolfo, si recò
a casa di lui e gli prestò tutto l’aiuto che un fratello deve a un fratello,
secondo quanto già descritto tempo fa su questo settimanale.
È circolata la voce, per esempio, che egli avesse un
pied-à-terre a Ostia. Dopo tanti anni di fidanzamento è impossibile che Pino mi
abbia tenuto nascosto un particolare del genere, in ogni caso non era una spesa
che Pino si potesse permettere: Pino è un semplice impiegato che cerca di migliorare
la sua posizione economica lavorando nelle ore libere con l’intento di
assicurare a noi stessi quella sistemazione alla quale aspiriamo da tanto
tempo.
Pino disponeva di una “giardinetta” e qualcuno ha voluto
trarre delle supposizioni da una presunta vendita “affrettata” di quella
vettura. L’automobile era per Pino un mezzo indispensabile per svolgere la sua
attività, era un piccolo capitale che egli badava a non lasciar deperire,
studiando anzi il modo di valorizzarlo con uno scambio o con una vendita
vantaggiosa. Pino infatti comperò dapprima una “Topolino” verde (quella con cui
accompagnò Giuliani alla stazione), poi la cambiò con la “giardinetta” di cui
si è tanto parlato. Infine non subito, ma alcuni mesi dopo la morte di Wilma, precisamente
nell’ottobre del 1953, riuscì ad ottenere un altro modesto vantaggio vendendo
la “giardinetta” in contanti e comperando una Topolino-vettura a rate.
Così pure è del tutto assurda la voce che il 9 aprile
egli abbia ricevuto una telefonata da sua nipote o che sua nipote si sia mai
recata con lui qualche volta. Si tratta di voci, le solite voci, che nascono
non si sa come e che la gente, purtroppo, si affretta a far sue costruendosi
delle convinzioni fuori di qualsiasi logica. Questo è veramente impressionante:
basta una parola, una frase sibillina letta su un giornale, un gesto, un
qualunque particolare male interpretato perché l’opinione pubblica si orienti
in una direzione errata.
Il mio fidanzato è perfettamente tranquillo, ripeto, ma nei
giorni in cui i fotografi rumoreggiavano attorno alla porta di casa e
attraverso le finestre chiuse si udiva il brusio della folla, ebbe veramente
timore: timore di reagire e di mettersi così in guai peggiori. Per fortuna Pino
è riuscito a dominare la sua naturale impetuosità: siamo rimasti assediati per sette
giorni, con le finestre chiuse, e nella forzata inazione abbiamo avuto modo di
conoscerci ancora di più, se questo è possibile dopo dodici anni di
fidanzamento. Ed abbiamo anche preso una decisione importante. Ci sposeremo
entro l’anno, forse a maggio, se la buona stagione ci avrà portato come regalo
la fine di questa tenebrosa e dolorosa vicenda.
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